Siria, 21/08/2013, strage con armi chimiche
Dove, chi e quando.
Città di Damasco, Siria, mattina del 21 agosto 2013. Una guerra complessa infiamma il territorio siriano da circa due anni; agli opposti schieramenti iniziali (esercito governativo e armate ribelli) si è sovrapposto un intricato sistema di alleanze ad assetto variabile che in quella fase, semplificando molto la situazione sul campo, vede da un lato le truppe fedeli ad Assad unite agli Hezbollah libanesi e, dall’altro, forze distinte per obiettivi, idealità, strategie e sostegno del popolo quali l’Esercito Siriano Libero (ESL), diversi gruppi jihadisti e le Unità di Protezione Popolare (YPG) curde. Ogni fazione confliggente trova inoltre sostegno da parte di governi od organizzazioni straniere, che, in base ai propri interessi nell’area, forniscono supporto logistico, finanziamenti o armi, in modo più o meno clandestino.
Tra luglio e agosto 2013 l’esercito governativo guadagna terreno, riconquistando aree controllate dai ribelli, e muove su Damasco; il 21 agosto alcuni razzi centrano una zona residenziale di Jobar, che appartiene al governatorato di Damasco ma è attigua alle zone della Ghouta orientale in mano islamista. In quella stessa giornata, si inizia a parlare di attacco chimico: fonti vicine ai ribelli fanno riferimento a centinaia di persone decedute non per le conseguenze delle esplosioni, bensì per asfissia e avvelenamento da gas tossico. Le vittime, tra militari governativi, ribelli e popolazione civile, saranno in seguito stimate essere circa 1400.
La reazione internazionale
L’evento provoca una forte presa di posizione dell’ONU e di gran parte delle cancellerie internazionali, poiché l’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel 2012 aveva posto come “linea rossa” per un intervento militare internazionale proprio l’utilizzo di armi chimiche.
La crisi siriana diventa internazionale: Stati Uniti e Unione Europea attribuiscono la responsabilità dei bombardamenti al governo siriano di Assad, mentre Russia e Iran si schierano al fianco di quest’ultimo, accusando i ribelli. Gli USA, appoggiati da Francia, Regno Unito e Turchia, prospettano un attacco missilistico contro le postazioni militari siriane, suscitando l’opposizione di buona parte dell’opinione pubblica e del Congresso americano, nonché di Russia e Cina presso l’ONU, oltre alle minacce iraniane di bombardare Israele per rappresaglia; si assiste a una massiccia mobilitazione della Marina statunitense nel Mediterraneo e nel Mar Nero: la tensione a livello internazionale è altissima, inducendo il Vaticano a prendere posizione contro il conflitto che si profila.
La diplomazia prende però il sopravvento e, all’incontro del G20 di San Pietroburgo, su proposta russa, il 14 settembre viene raggiunto un accordo che evita l’intervento armato in cambio della distruzione dell’arsenale chimico siriano, del libero accesso ai depositi di armi chimiche da parte dei funzionari ONU e dell’adesione del governo siriano alla Convenzione sulle armi chimiche.
Il 27 settembre viene votata all’unanimità all’ONU la Risoluzione 2118 che prevede la distruzione dell’arsenale chimico siriano: il 16 settembre era pervenuto al Segretario Generale Ban Ki-Moon il rapporto redatto dal Team indipendente delle Nazioni Unite, che aveva confermato che “armi chimiche sono state usate relativamente su larga scala nel conflitto tra le due parti in Siria, anche contro i civili” (valutazione cui era giunta anche l’organizzazione Human Rights Watch); gli ispettori dell’ONU avevano rilevato l’impiego di missili terra-terra contenenti gas sarin ma, coerentemente al mandato conferito, non si erano sbilanciati sulla provenienza dell’attacco.
In base al piano di smaltimento delle armi chimiche siriane, accettato dal governo di Damasco solo dopo le pressioni russe, circa 1300 tonnellate di agenti chimici vengono consegnate e distrutte. Secondo l’intellettuale siriano Yassin Haj Saleh, “si è trovato un accordo per una soluzione al problema dell’uso di armi chimiche e non al massacro compiuto con le armi chimiche. Non è stata trovata una soluzione al ‘problema’ dei siriani uccisi che fino a quel momento avevano già raggiunto i 100mila. Si è trovato un accordo che ha avuto un significato per la Russia, gli Usa e Israele. Non per i siriani”.
Rimane infatti controversa la questione della responsabilità del bombardamento di Jobar. Nell’immediatezza del fatto, gli ambasciatori presso l’ONU di Stati Uniti e Francia concordarono con il Ministro degli Esteri britannico nel ritenere che solo l’esercito regolare siriano avesse la capacità di sferrare un attacco con quelle caratteristiche; tuttavia, già pochi mesi dopo, analisti del MIT di Boston, sulla base del missile rudimentale rinvenuto dagli ispettori dell’ONU – di gittata non superiore ai due chilometri – e della mappa delle forze in campo nel periodo in questione, obiettarono che l’attacco dovesse necessariamente essere partito dalle aree controllate dai ribelli jihadisti.
Taluni, memori del precedente iracheno, hanno interpretato questa discordanza come una precisa volontà di parte dell’amministrazione USA, volta a far circolare informazioni false tali da indurre una rappresaglia internazionale punitiva contro Assad; altri hanno ipotizzato un coinvolgimento diretto della Turchia, mirato a ottenere lo stesso risultato.
A che punto siamo oggi?
Mentre gli schieramenti, sul campo di battaglia e nell’opinione pubblica internazionale, si moltiplicano, il conflitto ha ormai provocato circa 511 mila vittime, secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, e più di 5 milioni e mezzo di profughi e oltre 6 milioni di rifugiati interni secondo l’Alto commissariato ONU per i rifugiati. Secondo la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta ONU sulla Siria, dal 2013 al 2018 sono stati almeno 34 gli interventi con gas tossici (l’ultimo il 7 aprile 2018 sulla città di Douma, alla periferia est di Damasco), della maggior parte dei quali Assad è ritenuto il responsabile. Human Rights Watch ne ha invece contati 85, di cui 50 collegati al regime siriano. La guerra siriana va avanti e, come è stato osservato, “è innanzitutto una guerra contro la verità”.
Silvia Boverini
Fonti:
www.wikipedia.org;
“Quello del 21 agosto in Siria fu un attacco con armi chimiche”, 17/09/2013, www.ilpost.it ;
“Attacco chimico in Siria: il MIT di Boston smentisce Obama”, 24/01/2014, www.rainews.it;
Shady Hamadi, “Siria, tre anni fa l’attacco chimico su Damasco: 1400 morti e nessun colpevole”, 22/08/2016, www.ilfattoquotidiano.it;
Laura Filios, “Guerra in Siria, la vergogna delle armi chimiche non risparmia nessuno”, 17/04/2018, www.osservatoriodiritti.it
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