Il tentativo di triangolazione durante la mediazione

“Il triangolo no, non lo avevo considerato (…)
la geometria non è un reato”

Così faceva il ritornello di una famosissima canzone di Renato Zero, “Il Triangolo”; canzone del 1978 (scritta insieme a Mario Vicari, il quale ne curò anche la parte musicale), dai contenuti volutamente provocatori e trasgressivi – parla infatti di un triangolo amoroso – ma resi ironici attraverso l’utilizzo di similitudini e doppi sensi.

Spero si voglia perdonare l’accostamento ardito con un evento molto frequente che si verifica, durante i colloqui, nei percorsi di mediazione familiare e, più in generale, di mediazione dei conflitti, ossia il tentativo di triangolazione da parte dell’utente nei confronti del mediatore.

Credo sia raro non aver sperimentato sulla propria pelle, durante la carriera di mediatore, la sensazione di essere oggetto di una tentata triangolazione nel senso di un approccio manipolativo da parte della persona seduta dinnanzi a noi, intenzionata a portarci “dalla sua parte”.
Chi inizia un percorso mediativo, la maggior parte delle volte, si aspetta (o, almeno, in fondo al cuore, si augura) che chi lo sta ascoltando, avvalli la sua posizione, per lui verità unica e imprescindibile, a discapito dell’altro confliggente.
Tale comportamento non è deprecabile, ma è, nella gran parte dei casi, da considerarsi come conseguenza naturale della situazione conflittuale che si sta vivendo, dove la lotta per la supremazia regna sovrana, sia essa manifesta, sia essa implicita nei comportamenti tenuti dalle persone in conflitto.
Solitamente, ad esempio, nell’ambito della mediazione familiare, chi compie il primo passo verso un percorso mediativo, prevede che l’altro si rifiuterà di parteciparvi, e ciò può derivare dal pessimismo che accompagna situazioni conflittuali di coppia, oppure dal semplice fatto che chi si è fatto promotore dell’iniziativa si vuole arrogare il “diritto” di assicurarsi l’aiuto del professionista a suo totale vantaggio, avendo così la meglio sull’altra parte.
A tal proposito, un terapeuta familiare, parlò di “lotta per l’iniziativa” e anche di “lotta per la struttura” (Whitaker, 1977)

È quasi naturale, quindi, cercare degli alleati, a partire dai membri della famiglia, dagli amici, per finire con gli esperti, i professionisti, che vengono coinvolti nella situazione di “fine di relazione”, esponendo, così, questi ultimi, inevitabilmente, a tentativi di manipolazione, onde porli in una triangolazione all’interno del conflitto. Fin dall’inizio, dunque, si possono veder agire delle mosse mirate ad ottenere il controllo del percorso di mediazione, al fine di avere il controllo del nuovo “terreno” nel quale si disputa la “battaglia”.

Si possono evidenziare due mosse, abbastanza comuni nei tentativi di triangolazione

La prima, che possiamo definire “prendi l’iniziativa”, è quella durante la quale chi si fa promotore dell’iniziativa, per l’appunto, impara a conoscerla prima dell’altra parte, creando uno svantaggio a quest’ultima e arrogandosi la superiorità morale di aver voluto iniziare il percorso di mediazione per primo, quasi a voler confermare la propria superiorità di intenti nei confronti di chi non è ancora entrato in gioco.
La seconda, che possiamo intitolare “mi lasci spiegare il problema”, vede il tentativo di una delle parti di influenzare il mediatore, e di assumere il controllo della situazione, attraverso la proposta di portare documentazioni relative alla situazione in oggetto, atte ad avvallare in maniera inequivocabile (per quella parte) la propria posizione (peraltro, percepita come l’unica corretta).

E’ da sottolineare, però, che non è quasi mai unidirezionale il tentativo di manipolazione da parte dell’utente nei confronti del professionista, ma è un comportamento che, solitamente, viene agito da entrambe le parti.
Infatti, anche il confliggente che dovesse entrare in gioco in un secondo momento (si ricordi che, uno degli aspetti caratterizzanti la mediazione familiare è la volontarietà di partecipazione al percorso) proverà, in maniera similare al primo, a far sì che il mediatore “vada dalla sua parte” sostenendo le proprie verità come assolute ed imprescindibili.

Quello che viene spontaneo chiedersi è quale debba essere, quindi, la posizione che il mediatore deve avere e quale il comportamento da tenere, ogni qualvolta si trovi in situazioni nelle quali corre il rischio di essere oggetto di triangolazione da parte dei confliggenti.

Nella nostra metodologia di lavoro, sia in ambito di mediazione familiare che mediazione dei conflitti più a 360°, prevediamo che le parti confliggenti non vengano accolte insieme, nemmeno nel primo colloquio conoscitivo, ma che vengano ascoltate separatamente attraverso colloqui individuali.

Gli incontri di mediazione (che prevedono l’incontro e quindi confronto della coppia) avverranno in un secondo momento, quando le parti saranno “pronte” per poterli affrontare in maniera proficua sia per loro stessi, intesi come singoli individui, sia per il riconoscimento reciproco, sotteso alla mediazione trasformativa-relazionale, che noi adottiamo.

E’ nostra cura, fissare il primo colloquio conoscitivo con i due partners, nella stessa giornata o, laddove non sia possibile, a distanza di pochi giorni uno dall’altro, proprio per fare in modo che tutti e due possano avere le stesse informazioni relative alla mediazione, evitando così che si possa creare una situazione di svantaggio a discapito di uno dei due.
Nel primo colloquio e, a volte anche nei colloqui successivi, qualora qualcosa non fosse ancora chiaro, si stabiliscono le regole del percorso di mediazione e, nella descrizione della figura professionale del mediatore, si sottolinea come esso sia terzo, neutrale ed imparziale, non giudicante e quindi elemento super partes nel conflitto.
I mediatori, infatti, devono avere la capacità di mantenere una posizione centrale ed equilibrata tra le parti.

Ma quando possiamo definire fisiologico il tentativo di triangolazione e quando, invece, non lo è più?

Come sopra ricordato, il bisogno di sentire il mediatore dalla propria parte, quando si sta vivendo una situazione conflittuale è, nella maggior parte dei casi, un atteggiamento normale, atto a sentirsi meno soli, a cercare di essere capiti e supportati, durante quella che viene vissuta come una vera e propria battaglia.
E’ altrettanto naturale che, nonostante l’adempimento da parte del mediatore degli obblighi informativi a riguardo, nella prima parte del percorso di Ascolto e Mediazione del conflitto, si faccia finta di non capire quale sia il ruolo della figura professionale che abbiamo di fronte, tentando ancora di triangolarla a proprio vantaggio.
Se le parti in gioco, si sono messe in discussione in buona fede, ad un certo punto smetteranno, in maniera quasi naturale, di manipolare il mediatore, perché il clima di fiducia instaurato, la de-escalation del conflitto che si sarà raggiunta attraverso il riconoscimento di sé stessi, in primis, e dell’altro, poi, l’empowerment della capacità di autodeterminazione, faranno sì che il bisogno di aver il mediatore dalla “propria parte” non avrà più senso di esistere, poiché non sarà più funzionale allo scopo perseguito.

Vien da sé, quindi, capire che se il comportamento manipolatorio e il tentativo di triangolazione, dovessero invece perdurare nel tempo, anche dopo la prima fase della mediazione, si potrebbe desumere la cattiva fede di colui che mette in atto tale comportamento, rimettendo quindi alla valutazione del professionista l’eventualità di sospendere il percorso, qualora fosse visto come non più funzionale poiché sarebbero venute meno le condizioni per portare avanti il percorso intrapreso.

Per tornare alla citazione iniziale della canzone di Renato Zero, rimanendo in linea con gli accostamenti azzardati, concludo con il detto latino:

“Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”

Daniela Meistro Prandi

Fonti: “La mediazione familiare”, L.Parkinson, 2013

Sedicesimo appuntamento Note di mediazione: “La notte” di Arisa

Nel sedicesimo appuntamento con la rubrica Note di Mediazione, traiamo ispirazione dalla canzone di ArisaLa notte“, canzone del 2012, classificatasi seconda al sessantaduesimo Festival di Sanremo, nella quale si racconta della fine di una storia d’amore. Partendo dalla frase del testo

né vincitori né vinti, si esce sconfitti a metà“,

contenuta nel ritornello, si ragiona su come, invece, la mediazione familiare (e, più in generale, la mediazione dei conflitti) si svolga in ottica “Win-Win“, ossia “Vincitore-Vincitore“, e non soltanto dal punto di vista degli interessi e degli aspetti economici in gioco.

Infatti, ad esempio, per la coppia in fase di separazione, la questione fondamentale è quella degli “accordi emotivi“. Senza di questi il rischio è, appunto, quelli di uscirne “sconfitti a metà“.

Intervista a Daria Moschetti

In questo quattordicesimo video di Interviste ad ex corsisti, parliamo con Daria Moschetti, assistente sociale, che racconta come, dopo aver seguito un corso di Me.Dia.Re. di vittimologia e di supporto alla vittima di violenza, si sia avvicinata alla mediazione familiare e penale, a partire proprio dal suo interesse al tema della violenza assistita, che era stato oggetto della sua tesi d laurea.Daria riflette con noi sul senso che avuto successivamente per lei la formazione sulla mediazione (seguì, nel 2016-2018, la IX edizione del corso di Mediazione Familiare e di Mediazione Penale dell’Associazione Me.Dia.Re.) , ma svolge anche considerazioni più ampie sul bisogno insoddisfatto di ascolto che, insieme alla rabbia e alla frustrazione avverte crescere sempre di più nella nostra società. Inoltre, Daria Moschetti, dopo aver spiegato le ragioni per cui sviluppò nel corso di mediazione familiare una tesi sulla mediazione familiare nelle famiglie con anziani non autosufficienti (abbiamo pubblicato qui la sua tesi, nella rubrica Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare), condivide anche i suoi pensieri e progetti sulla mediazione.

Intervista a Valentina Sestu

In questo tredicesimo video di Interviste ad ex corsisti di Me.Dia.Re. ascoltiamo Valentina Sestu, psicologa dell’educazione e dello sviluppo, che spiega come a condurla ad interessarsi alla mediazione (seguì, nel 2016-2018, la IX edizione del corso di Mediazione Familiare e di Mediazione Penale dell’Associazione Me.Dia.Re.) sia stato proprio l’interesse verso la situazione dei minori e delle loro famiglie, concretizzato nel suo lavoro nelle scuole e con le famiglie (lavora anche come tutor dell’apprendimento e come psicologa di supporto alle famiglie con figli interessati da difficoltà scolastiche). Nel suo discorso l’accento viene posto particolarmente sul tema dell’ascolto delle persone in conflitto.

Tesi di Stefania Zerbetto “Che resti tra noi”. La mediazione come opportunità di trasformazione e recupero del legame familiare e sociale.

La tesi di Stefania Zerbetto di fine corso (Edizione XI del Corso in Mediazione Familiare Novembre 2017 – Maggio 2018, dell’Associazione Me.Dia.Re.) è un’articolata e profonda riflessione sulla mediazione familiare e sulla figura del mediatore familiare nella nostra società. Ma è anche qualcosa di più:

Nel linguaggio dominante, la fragilità evoca debolezza, inconsistenza, immaturità. Tale concetto viene individuato a partire dalla sua linea d’ombra, dalla sua precarietà ed instabilità. Questo significato riduttivo tralascia di considerare l’aspetto valoriale della fragilità, che è quello che, per contro, occorre tenere presente nel contesto della mediazione. In tale ambito, la fragilità emerge in stretta connessione con i concetti di sensibilità, dignità “intuizione dell’indicibile e dell’invisibile che sono nella vita” e che consentono di immedesimarsi più facilmente all’interno delle emozioni e dei sentiti degli altri. 

Non è forse il compito di chi accoglie, quello di stabilire con la persona ascoltata una relazione umana che consenta a quest’ultimo di sentirsi compreso, riconosciuto ed accettato nella sua fragilità e nella sua debolezza?

E non è questo sentirsi accolti, che induce, a propria volta, a stabilire (o a ristabilire) una relazione umana con il proprio nemico/confliggente, che faccia sentire quest’ultimo, a sua volta, riconosciuto ed accettato con tutto il suo fardello di debolezza e fragilità?

Può cliccare qui chi è interessato a leggere la tesi di Mediazione Familiare di Stefania Zerbetto

Le altre tesi sulla mediazione familiare dei partecipanti ai corsi di Me.Dia.Re. si trovano nella pagina Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare, Penale…

Quindicesimo appuntamento di Note di mediazione: “A muso duro” di Pierangelo Bertoli

Nel quindicesimo appuntamento con la rubrica Note di Mediazione, la canzone di Pierangelo Bertoli “A muso duro“, canzone del 1979, nel quale il cantautore lancia un grido di protesta verso quella parte di mondo discografico che bada solo al lato commerciale della musica, ignorandone il vero significato, legato agli stati d’animo più profondi, intensi e veri di chi la scrive e che chiede al cantautore di uniformarsi a determinate regole, imposte dal mercato delle vendite, offre spunti di riflessione sulla situazione attuale legata al mondo del lavoro. La ripresa delle attività, dopo la fase critica del lockdown, vuole che la maggior parte delle realtà lavorative del nostro Paese si debba conformare a determinate regole imposte, a salvaguardia della salute pubblica, dallo Stato, creando non poche situazioni di disagio e di tensione che hanno coinvolto i lavoratori a 360°. Vien da sé pensare che potranno emergere, in un futuro quanto mai prossimo, situazioni conflittuali a più livelli, che hanno come minimo comune denominatore l’elemento scatenante, ossia lo stress legato al mettere in pratica le nuove regole imposte. Nel video, si sono fatte riflessioni in merito al conflitto sui luoghi di lavoro, in special modo riferite alla situazione attuale.

Tesi di Martina Todesco: mediazione familiare e coppie con figli disabili

La tesi di Martina Todesco di fine corso (Edizione V Corso in Mediazione Familiare, maggio 2014 – settembre 2015, dell’Associazione Me.Dia.Re.) affronta il tema della mediazione in coppie genitoriali con figlio disabile. Dopo una panoramica riassuntiva sulla mediazione familiare (caratteristiche, funzionamento e finalità) e sull’intero ciclo di vita della coppia (dalla sua formazione alla progettualità condivisa che sfocia nella creazione di una famiglia) la tesi propone una disamina delle condizioni delle coppie con figli disabili (le trasformazioni, le difficoltà, il supporto), per spiegare il senso di una mediazione per queste persone.

In casi di coppie con figlio disabile, la mediazione interviene con un ruolo ancora più forte, poiché in questi casi non ci si separa mai veramente dal proprio coniuge, per poter garantire l’accudimento e la crescita del proprio figlio. L’importanza della mediazione in tali casi è quella di partire da un riconoscimento reciproco degli individui, una comprensione reciproca dei loro punti di vista e dei loro vissuti, per poter offrire alla coppia un terreno di confronto su temi fondamentali e permettere loro di far ripartire la comunicazione, essenziale per la gestione educativa di un figlio.

Può cliccare qui chi è interessato a leggere la tesi di Mediazione Familiare di Martina Todesco (che abbiamo intervistato anche per la rubrica Interviste ad ex-corsisti

Le altre tesi sulla mediazione familiare dei partecipanti ai corsi di Me.Dia.Re. si trovano nella pagina Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare, Penale…

Intervista a Martina Todesco

In questa intervista Martina Todesco, educatrice professionale con una corposa esperienza in diversi ambiti della sua professione, si sofferma sulle motivazioni che l’hanno portata ad interessarsi alla mediazione e a formarsi ad essa (seguì, nel 2014-2015, la quinta edizione del corso di Mediazione familiare e di Mediazione Penale dell’Associazione Me.Dia.Re.). La conversazione con Martina in questo dodicesimo video di Interviste ad ex corsisti si colloca su un registro di particolare autenticità, data la sua disponibilità a raccontarsi e a mettersi in gioco con sincerità. Schiettezza e profonda sensibilità caratterizzano anche sia le sue riflessioni sull’utilità degli strumenti appresi (nelle relazioni personali e in quelle professionali, come nel suo lavoro presso centri aggregativi per minori), sia quelle dedicate alla mediazione familiare quale supporto alle coppie con figli disabili (abbiamo pubblicato qui la sua tesi, nella rubrica Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare

Il mediatore dei conflitti e il colloquio da remoto: l’importanza della comunicazione non verbale.

“La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto.” (Peter Drucker)

Partendo dall’assunto che la comunicazione è l’essenza della mediazione, particolare importanza si deve prestare ai mezzi di comunicazione.
Possiamo avere linguaggio senza comunicazione e comunicazione senza linguaggio.
Le parole che noi utilizziamo sono stratificate in diversi livelli di connessioni (personali e culturali, consce e inconsce) capaci di influenzare la visione del Mondo che ci circonda e possono condizionare le risposte che diamo a persone ed eventi.  E’ proprio attraverso il linguaggio che organizziamo i nostri pensieri e trasmettiamo idee, strutturandoli sotto forma di messaggio.  Bisogna, però, sottolineare che gli scambi comunicativi non avvengono solamente attraverso la comunicazione verbale, ma anche la comunicazione non verbale assume estrema importanza.
Una ricerca sulla comunicazione non verbale, condotta parecchi anni or sono, rilevò che durante un’esposizione orale svolta davanti ad un gruppo di persone, il 55%dell’impatto sugli uditori era dato dal linguaggio del corpo (contatto visivo, gestualità, posizione), il 38% dal tono della voce (linguaggio paraverbale) e solo il 7% dal contenuto della presentazione (Mehrabian e Ferris, 1967).

Che cosa si intende, quindi, per “comunicazione non verbale”?  

Per comunicazione non verbale si intende quella parte della comunicazione che non riguarda l’aspetto puramente semantico, ma il linguaggio del corpo nella sua totalità.
Circa il 90% della nostra comunicazione durante la giornata è non verbale.
Possiamo suddividere la comunicazione non verbale in cinque categorie, ossia la cinesi, il sistema paralinguistico, la prossemica, l’aptica e le caratteristiche fisiche.
Vediamo nel dettaglio di cosa stiamo parlando.

SISTEMA PARALINGUISTICO

E’ rappresentato dal sistema vocale non verbale, ossia l’insieme dei suoni emessi nella comunicazione verbale, indipendentemente dal significato delle parole.
Infatti, quando parliamo, le nostre voci assumono importanza, poiché chi ci ascolta presta attenzione al tono della nostra voce, all’inflessione, alla frequenza, al ritmo che utilizziamo e quindi ai tempi e ai silenzi.
In breve, l’attenzione è spostata non tanto sulle parole, ma sul tono, il volume, la qualità, l’intonazione e le pause vocalizzate.
Da sottolineare, però, che non tutte le culture hanno la stessa interpretazione dei segnali non verbali, cosa da non sottovalutare quando persone di diversa estrazione stanno comunicando.

SISTEMA CINESICO

Si intende l’insieme di tutti gli atti comunicativi espressi dal movimento del corpo; in pratica, è il termine tecnico utilizzato per definire il linguaggio del corpo, la comunicazione attraverso il movimento del corpo stesso, per l’appunto.
Il sistema cinesico comprende il contatto visivo, la mimica facciale, la postura e la gestualità.
Il contatto visivo, di cui particolare importanza assumono i movimenti oculari, è molto influenzato e, quindi, influenzabile dal contesto in cui ci si trova, per cui può comunicarci parecchio in merito alla persona che abbiamo davanti (ad esempio, se si viene guardati dritti negli occhi, si può cogliere un atteggiamento di sicurezza o di sfida, così come se l’interlocutore abbassasse lo sguardo, potrebbe comunicarci di essere in imbarazzo e così via).
A fare da contorno al movimento oculare vi sono i gesti legati alla mimica facciale.

E’ utile sapere che la gran parte delle espressioni facciali sono volontarie e controllate da noi che le adatteremo in base alle circostanze, ciò nonostante, però, vi è una parte comunicativa  che non può essere controllata come l’arrossire o l’impallidire, così come impercettibili movimenti muscolari (solitamente non simmetrici, come il movimento di un solo sopracciglio o una piccola smorfia della bocca) non sono controllabili e possono sottendere a sentimenti che non corrispondono a quello che stiamo comunicando con il verbale (ad esempio, potrebbe essere che stiamo rispondendo, alla domanda del nostro interlocutore, mentendo).
Due studiosi di comunicazione, quali Wallace Friesen e Paul Ekman, hanno identificato quarantaquattro diverse “unità d’azione”, cioè possibili movimenti del viso umano, che vanno dall’aggrottare la fronte, all’inarcare le sopracciglia, allo strizzare gli occhi etc etc etc.

PROSSEMICA

Con questo termine, si intende l’occupazione dello spazio, ossia come si utilizza lo spazio fisico a disposizione per comunicare diversi messaggi non verbali, inclusi segnali che possono andare dal dominio all’aggressività, dall’affetto all’intimità.

Lo spazio può essere suddiviso in quattro zone principali che sono:

  • La zona intima (da 0 a 50 cm) è quella nella quale si accettano, senza provare disagio solo familiari stretti e il partner; se persone esterne entrano, senza il nostro permesso, in questo spazio, possiamo percepirlo come un’invasione disagevole. Si può portare ad esempio quando ci troviamo in un ascensore troppo affollato, dove la distanza non è rispettata e si entra, seppur involontariamente, nella zona intima altrui e viceversa, avendo come reazione quella di non guardarsi negli occhi e di irrigidirsi.
  • La zona personale(da 50 cm ad 1 m.) è un pochino meno ristretta della precedente ed al proprio interno possono essere ammessi anche amici, colleghi e parenti meno stretti. Le comunicazioni che avvengono a questa distanza consentono di avere un tono di voce basso e di cogliere dettagliatamente espressioni e movimenti di chi sta parlando; da questa zona si può facilmente passare al contatto fisico.
  • La zona sociale (da 1 a 3/4 metri) è quella dove avvengono le interazioni anche tra persone sconosciute o poco conosciute e la distanza, mantenuta in questa zona, ci permette di vedere l’interlocutore a figura intera e di cogliere, quindi, i messaggi che arrivano dal corpo nella sua interezza, facilitando la comprensione delle sue intenzioni. Solitamente, in questa zona avvengono incontri di tipo formale, come incontri di lavoro o di affari, escludendo, quindi, la possibilità che l’incontro possa essere dovuto a motivi di reciproca attrazione.
  • La zona pubblica (oltre i 4 metri) è solitamente caratterizzata da una forte asimmetria tra chi parla e gli uditori; è quella in cui ci si trova quando si assiste o si è relatori ad un convegno, una conferenza, una lezione universitaria.

APTICA

Questa fase è costituita dai  messaggi comunicativi che avvengono attraverso il contatto fisico. Vi fanno parte tutti quei gesti, più o meno rituali, che ci ritroviamo a fare ogni qualvolta incontriamo o salutiamo una o più persone, ossia la stretta di mano, l’abbraccio, la pacca sulla spalla, il bacio sulle guance e così via.
Appare evidente che si passi da forme più codificate a forme più spontanee (come la stretta di mano nel primo caso o l’abbraccio nel secondo), in base al grado di confidenza tra le persone tenendo anche conto delle differenze culturali: infatti lo stesso gesto (il bacio sulle guance, ad esempio) può essere molto diverso e con diverso significato, in base al Paese dove ci si trovi o alle differenze culturali tra le persone che lo attuano.

CARATTERISTICHE FISICHE

Si considerano sia la conformazione fisica che l’abbigliamento. Le dimensioni e la forma del corpo sono composte da tre caratteristiche mutevoli, ossia l’altezza, il peso e la forma del corpo nella sua interezza (Argyle, 1992).

Fornisce importanti informazioni sugli individui ed influenza la formazione di impressioni oltre a rappresentare un supporto all’autopresentazione.
Vi sono ulteriori elementi che non sono modificabili a breve termine nel corso dell’interazione e comprendono la forma del volto, il colore e il taglio degli occhi, lo stato della pelle e di capelli, gli accessori, gli abiti e così via.
E’, però, vero che le caratteristiche fisiche non vengono percepite da tutti allo stesso modo, anche in base agli stereotipi condivisi dalle diverse culture di appartenenza, così come, sebbene le percezioni in merito a certe caratteristiche fisiche convergano in maniera statisticamente rilevante, le associazioni che ne derivano non possono essere considerate come “verità assoluta”, poiché  non è possibile comprovarle.
L’abbigliamento è l’aspetto della comunicazione non verbale meno oggetto di studio, poiché molto mutevole, in base alla moda del momento, anche se ci può fornire informazioni immediate riguardo alla nazionalità di un individuo o alla sua appartenenza religiosa (vedi l’abito talare del sacerdote, o il velo islamico o ancora la kippah delle persone appartenente a religione ebraica e così via).

Appare, comunque, evidente come l’abbigliamento possa essere associato ai diversi ruoli sociali e possa influire notevolmente sulle relazioni interpersonali, poiché influenza la percezione che gli altri hanno della persona stessa (Bonaiuto, Maricciolo, 2009).

L’importanza della comunicazione non verbale nella pratica della mediazione dei conflitti.                

Il mediatore familiare, o, più in generale, il mediatore dei conflitti, si trova ad “utilizzare” la comunicazione non verbale ogni volta che svolge un colloquio. Infatti, l’ascolto attivo avviene, anche, attraverso il contatto visivo, l’espressione del volto, oltre che attraverso il “parlato”.
L’intesa, spesso, si crea maggiormente attraverso il linguaggio del corpo che con le parole (Parkinson, 2013).
Allo stesso modo, il mediatore riceve, a sua volta, continui messaggi, attraverso il linguaggio non verbale, da parte della propria utenza, informazioni importanti se le saprà cogliere e leggere in maniera adeguata.

Cosa sta cambiando nel modo di lavorare del mediatore?

Il SARS-CoV-2 ha, inevitabilmente, cambiato le nostre vite e con esse il nostro modo di lavorare.
Infatti, chi come il mediatore dei conflitti per lavoro effettua colloqui, si è trovato a dover rivedere la metodologia classica, in uso fino a prima del lockdown, ossia quella di ricevere le persone nel proprio studio, collegandosi con la propria utenza da remoto. Inevitabilmente, ci si è trovati davanti a criticità dovute alla “nuova” metodologia, per nulla scontata per chi è abituato a lavorare “in presenza”.
Dopo aver inquadrato la comunicazione non verbale, quindi, proviamo ora a capire quali siano le criticità che si possono rilevare quando un mediatore deve affrontare un colloquio o una mediazione online.
Appare subito evidente come l’incontro non di presenza limiti molto alcuni dei messaggi che arrivano dalla comunicazione non verbale, ma partiamo dall’inizio.
In un setting “normale” l’utente viene accolto, solitamente, con una stretta di mano e viene fatto accomodare dinnanzi a noi.
Come sicuramente avrete capito lo scambio di messaggi è già stato ampio, poiché vi è stato un primo contatto visivo, che ha evidenziato i movimenti oculari la mimica facciale (sguardo e sorriso, ad esempio)  seguito da un contatto fisico (stretta di mano) e una disposizione (in questo caso codificata, poiché la distanza e la posizione è decisa a priori da noi) nello spazio, ai quali seguiranno tutta un’altra serie di messaggi non verbali che verteranno sulla postura, sul movimento delle mani, delle gambe e così via.
Tutta questa parte di linguaggio non verbale, inevitabilmente, durante un colloquio da remoto, non potrà esserci e, quindi, una parte di informazioni che ne derivano andrà perduta.

Ma non disperiamo, perché ci rimane una componente essenziale della comunicazione non verbale e, nello specifico, del sistema cinesico, ossia la mimica facciale ed, in parte (in base all’inquadratura) anche il movimento delle mani e del busto (che può lasciare intendere come si stia muovendo la persona sulla sedia, ad esempio).
Oltre a questo aspetto, non dimentichiamo che, in un colloquio da remoto, tutta la parte paralinguistica della comunicazione non verbale (tono, volume, intonazioni, pause, silenzi), ossia tutto ciò che è legato alla voce, sarà a “nostra disposizione”. Quindi, tutte le informazioni non verbali che arrivano dai movimenti, volontari o meno, del volto, dalla voce e con essi alcuni movimenti del corpo (mani e busto) possono essere ugualmente colti e letti, permettendoci così di unirli ai messaggi verbali che arrivano dal nostro interlocutore.
Appare logico, pertanto, alla luce di quanto detto, asserire quanto sia importante comunicare al nostro interlocutore la necessità, ogni volta che sia possibile, di avere una sua immagine nitida, con una inquadratura che ci permetta di avere una visione completa del suo volto, se non, addirittura, di parte del busto.
Altrettanto, ovviamente, tutto questo dovrà essere assicurato da chi svolge il colloquio, cosicché si possa stare su un piano totalmente paritario a livello di informazioni che arrivano dal linguaggio non verbale.
Altrettanto importante e necessario è comunicare l’importanza di trovare, da parte dell’utente, una location che possa garantire la massima tranquillità, sia per garantire la privacy, sia per non avere elementi di disturbo o di distrazione che potrebbero influire sul colloquio stesso.
Starà, comunque, all’abilità personale e alla naturale propensione di ogni professionista, ma anche alle conoscenze in merito, saper adeguarsi al meglio alla nuova metodologia di lavoro che, se sfruttata nel migliore dei modi, potrà avere un risvolto positivo.
Basti pensare a come il collegamento da remoto, possa venire incontro a tutte quelle situazioni dove lo spostamento potrebbe risultare, per svariati motivi,  difficoltoso.
Un esempio, potrebbe essere rappresentato, dalla coppia che è già separata, ma ha bisogno della figura del mediatore familiare per rivedere le condizioni stabilite in separazione, in funzione del divorzio, ma che vive in città diverse.
Un percorso fatto, interamente online (o in parte) potrebbe facilitare molto i colloqui (ad esempio quelli di mediazione, dove è previsto l’incontro delle due parti per confrontarsi).

Saperli svolgere al meglio, quindi, non potrà che giovare a tutti, utenti e professionisti in primis.

Facis de necessitate virtutem”

Daniela Meistro Prandi         

 

Fonti:
”Interference of attitudes from nonverbale communication in two channels” Mehrabian A. & Ferris S.R.(1967)

”Il corpo e il suo linguaggio. Studio sulla comunicazione non verbale” Argyle M. (1992)

”La comunicazione non verbale” Buonaiuto M., Maricchiolo F. (2009)

“La mediazione familiare”L.Parkinson, 2013 p.159-161).

Tesi di Mariella Russo: Il ruolo della mediazione familiare nel procedimento dell’affido condiviso

La tesi di Mariella Russo di fine corso (Edizione II Corso in Mediazione Familiare Ottobre 2012 – Dicembre 2013, dell’Associazione Me.Dia.Re.) per esplorare il ruolo della mediazione familiare, alla luce della legge n. 54/ 2006 sulla Separazione dei Genitori e l’Affidamento Condiviso dei Figli, racconta anche un caso di mediazione familiare seguito dall’autrice nell’ambito del tirocinio svolto, accanto ad un formatore-mediatore, presso un servizio di mediazione dell’Associazione Me.Dia.Re.

Può cliccare qui chi è interessato a leggere la tesi di Mediazione Familiare di Mariella Russo (che abbiamo intervistato anche per la rubrica Interviste ad ex-corsisti)

Le altre tesi sulla mediazione familiare dei partecipanti ai corsi di Me.Dia.Re. si trovano nella pagina Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare, Penale…