Tesi di Luca Pugliese: La mediazione familiare nella separazione di fronte alla disabilità

La tesi di Luca Pugliese di fine corso (Edizione XI Corso in Mediazione Familiare Novembre 2017 – Maggio 2019, dell’Associazione Me.Dia.Re.) dopo aver affrontato le principali dinamiche che possono crearsi a livello familiare quando nasce un figlio con disabilità, cerca di impostare un modello che possa orientare il processo di mediazione in modo tale da essere adeguato a queste situazioni. Scrive, infatti, Luca Pugliese

“Molte famiglie, a seguito del trauma subito dalla nascita di un figlio che a volte è molto lontano da quello ideale, pensato e sperato, non riescono a superare o a reggere tale situazione, giungendo in alcuni casi alla rottura del rapporto attraverso la separazione o il divorzio”.

La tesi proposta da Luca Pugliese, quindi, si configura come una sollecitazione ad un avvicinamento “alle famiglie lacerate non solo dal dolore del trauma che la disabilità porta con sé, ma anche appesantite dai conflitti che la separazione porta con sé“.

“In una società come quella attuale in cui le modificazioni strutturali e culturali della famiglia sono in continuo divenire, credo sia necessario lasciare aperti gli spazi del confronto e del supporto rispetto a tali cambiamenti. Il concetto di conflitto è altamente connotato da valenze negative e per questo demonizzato, tanto che si attuano comportamenti difensivi con il solo risultato dell’evitamento, mentre l’affrontare tale situazione con l’aiuto di un terzo porterebbe ad un maggior livello di benessere nella gestione dell’evento”.

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Può cliccare qui chi è interessato a leggere la tesi di Mediazione Familiare di Luca Pugliese.

Le altre tesi sulla mediazione familiare dei partecipanti ai corsi di Me.Dia.Re. si trovano nella pagina Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare, Penale… Tra queste vi è anche quella di Fabiola Sacco: La Mediazione Familiare: una risorsa per le famiglie con minori disabili.

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Tesi di Daria Moschetti: La mediazione familiare in presenza di genitori anziani non autosufficienti

La tesi di Daria Moschetti di fine corso (Edizione IX Corso in Mediazione Familiare Novembre 2016 – Giugno 2018, dell’Associazione Me.Dia.Re.) è una riflessione sulla mediazione familiare quale risorsa per affrontare le criticità relazionali vissute da quelle famiglie che si misurano con le difficoltà connesse alla gestione di genitori anziani non autosufficienti.

La finalità della mediazione in questo caso non dovrebbe necessariamente mirare ad un risultato “concreto” come primo obbiettivo, bensì a favorire lo scambio e l’ascolto delle parti coinvolte”.

Può cliccare qui chi è interessato a leggere la tesi di Mediazione Familiare di Daria Moschetti.

Le altre tesi sulla mediazione familiare dei partecipanti ai corsi di Me.Dia.Re. si trovano nella pagina Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare, Penale…

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Intervista ad Annalù Mirone

Diamo la parola ad Annalù Mirone, in questo quinto video della rubrica Interviste ad ex corsisti. Annalù Mirone, dopo aver seguito uno dei corsi di Mediazione familiare e di Mediazione Penale dell’Associazione Me.Dia.Re. (l’ottava edizione, iniziata nel novembre del 2015 e conclusa nel gennaio 2017), ha iniziato ad operare come mediatrice penale minorile presso il relativo Centro di Mediazione della Città di Torino.

Annalù, che si era interessata alla mediazione già studiando Psicologia all’Università degli Studi di Torino, nell’ambito del corso di mediazione di Me.Dia.Re. svolse il tirocinio al fianco di un formatore, seguendo un caso particolare di mediazione familiare, che era stato preso in carico, in realtà, non in conseguenza di un invio ad uno dei  servizi di mediazione familiare dell’Associazione, ma al suo servizio di mediazione penale. Il caso volle che poi, terminato il percorso formativo, Annalù iniziasse proprio a lavorare presso il Centro di Mediazione Penale Minorile di Torino.

Nell’intervista quindi viene sollecitata a svolgere delle riflessioni sulla scorta dell’esperienza triennale di mediatrice penale minorile, e di quella maturata come psicologa. In particolare, le viene chiesto di soffermarsi sulle differenze tra l’attività mediativa e quella psicologica.

 

Intervista ad Alessio Gaggero

Parliamo con Alessio Gaggero, in questo quarto video della rubrica Interviste ad ex corsisti. Anche in tal caso diamo la parola ad un mediatore familiare che ha seguito uno dei corsi di Mediazione familiare e di Mediazione Penale dell’Associazione Me.Dia.Re. (era l’ottava edizione, iniziata nel novembre del 2015 e conclusa nel gennaio 2017), al termine del quale ha iniziato a lavorare presso il Centro di Mediazione di Torino, sviluppando un’esperienza ormai triennale come mediatore penale minorile.

Alessio, il cui interesse per la mediazione è sorto, studiando alla facoltà di Psicologica dell’Università degli Studi di Torino, ed avere sottolineato come fu rilevante per lui l’essersi misurato con l’aspetto pratico del metodo formativo proposto da Me.Dia.Re. e con un tirocinio svolto al fianco di un formatore, nei colloqui con delle persone che si avvalsero dei servizi di mediazione familiare dell’Associazione, propone delle riflessioni frutto dell’esperienza triennale di lavoro come mediatore penale, presso il Centro di Mediazione Penale Minorile di Torino.

Infatti, al termine del corso di mediazione, Alessio Gaggero, divenuto anche psicologo e specializzando presso una scuola di psicoterapia, è stato assunto presso il Centro di Mediazione della Città, avendo così modo di seguire una pluralità di casi. Da ciò sorgono anche le sue considerazioni sulle differenze tra l’attività mediativa e quella psicologica.

Diciannovesima puntata di Conflitti in corso

Nella diciannovesima puntata di Conflitti in corso affrontiamo non un conflitto interno ad una coppia, ma un caso di violenza psicologica. Per intuibili ragioni, che non riguardano soltanto l’aspetto della tutela della riservatezza della persona autrice della mail, le considerazioni svolte si limitano ad alcuni, limitati, aspetti dei seguenti quesiti:

Che cos’è la violenza psicologica nelle relazioni affettive/intime?

Perché l’autore della violenza agisce così?

È proponibile la mediazione familiare in questi casi?

La risposta a quest’ultima domanda è, ovviamente, no (su questo ci si era già soffermati in due post pubblicati nella rubrica Riflessioni, nell’ambito dei quali si è anche spiegato come il modello operativo adottato da Me.DiaRe. nei suoi servizi di mediazione familiare, valga anche a prevenire tali tipo di rischio: La mediazione familiare va sospesa nei casi di violenza psicologicaLa mediazione familiare e la violenza). Ma il fatto che il quesito venga posto dalla persona autrice della mail qui commentata può ricollegarsi anche al fatto che il fenomeno della violenza psicologica nelle relazioni affettive o intime è ancora oggi caratterizzato da scarsa attenzione e considerazione, sicché il numero oscuro relativo a tale forma di violenza costituisce tuttora un elemento problematico e segnala l’esistenza di un’inadeguata preparazione da parte della società in generale, e non soltanto dei rappresentanti di enti specifici (forze dell’ordine, autorità giudiziaria, organizzazioni sanitarie), nel rilevare questa forma di vittimizzazione. Ne deriva che le persone vittime di questa forma di violenza perlopiù non trovano un ascolto e un supporto. La situazione che vivono spesso viene derubricata a livello di normale litigiosità di coppia, quando non si giunge a definirla una situazione che ad esse, in fondo, sta bene. Così le vittime sviluppano in molti casi un senso di abbandono, una forma di vittimizzazione secondaria, o addirittura finiscono con il colpevolizzare se stesse per le sofferenze che gli abusi procurano loro (ed è quasi inutile aggiungere come questo aspetto sia troppo frequentemente osservato nei servizi che si occupano di questi tipi di vittimizzazione, tra i quali anche quelli erogati dalla nostra associazione, Me.Dia.Re.).

Da ciò può derivare un incremento del rischio che costoro finiscano con l’essere sottoposte ad altre forme di violenza, a volte irrimediabili, quali, ad esempio, il femminicidio. Perché, in effetti, la violenza psicologica può sussistere anche da sola, ma le altre forme di violenza (ad esempio, la violenza fisica e/o quella sessuale, ecc.) presuppongono la violenza psicologica e sono da essa precedute. Perciò, il non riconoscere o il sottovalutare questa aumenta incommensurabilmente le possibilità che si arrivi anche alle altre forme di violenza.

Tesi di Beatrice Reteuna Contin: “Cosa serve per dialogare?”- La mediazione famigliare e la pratica collaborativa: diversi metodi, stessi obiettivi

La tesi di Beatrice Reteuna Contin di fine corso (Edizione XII Corso in Mediazione Familiare Maggio 2018 – Novembre 2019, dell’Associazione Me.Dia.Re.) è la descrizione di un confronto tra mediazione familiare e pratica collaborativa. Infatti, come spiega nella sua introduzione, Beatrice Reteuna Contin:

Nel mio ruolo di avvocato, ho vissuto enormi difficoltà (e anche sofferenze) ogni volta che ho incontrato persone che del conflitto facevano la loro ragione di vita, senza rendersi conto che anziché ottenere i risultati invocati, alimentavano una spirale di sofferenza per sé e per tutti coloro che li circondavano.

In tali situazioni, ogni mio sforzo di dialogare in chiave logica era inutile, anzi, talvolta dannoso, con il risultato che per salvaguardare il mio ruolo e la mia indipendenza, ero costretta a rinunciare al mandato ricevuto.

Nel percorso professionale, ad un certo punto, mi sono resa conto della necessità di avere strumenti più efficaci, che ho trovato nei metodi alternativi al contenzioso.” Cioè, dapprima la pratica collaborativa e poi la mediazione familiare.

La tesi di Beatrice Reteuna Contin, perciò, tenta di tracciare i confini dei due metodi in modo da chiarire al meglio le tante potenzialità ed i possibili limiti.

Può cliccare qui chi è interessato a leggere la tesi di Mediazione Familiare di Beatrice Reteuna.

Le altre tesi sulla mediazione familiare dei partecipanti ai corsi di Me.Dia.Re. si trovano nella pagina Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare, Penale…

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Tesi di Antonio Vallone: Infedeltà e tradimento nella mediazione familiare

La tesi di Antonio Vallone di fine corso (Edizione XII Corso in Mediazione Familiare Maggio 2018 – Novembre 2019, dell’Associazione Me.Dia.Re.) affronta il tema della gestione del tradimento nella mediazione familiare. Scrive, infatti, Antonio Vallone:

Il tradimento, o meglio la scoperta del tradimento, è tra gli eventi più destabilizzanti e traumatizzanti della vita di un individuo. Il tradimento ferisce gravemente la psiche e l’autostima di chi lo subisce, nuoce gravemente alla salute, spesso anche di chi lo attua in prima persona (…) Rabbia e dolore, frustrazione e confusione emozionale diventano i veri compagni di viaggio (…) Il tradimento è sempre esistito e sempre continuerà ad esistere, quindi, sarebbe utile comprenderne le cause e le motivazioni (…). L’infedeltà contraddistingue quasi tutti i matrimoni: sia quelli più incerti che quelli più solidi, quelli alle prese con il percorso per diventare adulti, quelli che sono alle prese con la prima gravidanza, quelli che vivono un lutto o una malattia di uno dei due coniugi, un licenziamento, insomma, uno dei tanti traumi della vita (…). La situazione si è notevolmente complicata con l’avvento del web e dei social network che hanno aperto la strada ad ‘amori liquidi’, amori on-line e amici di penna che diventano amici di chat..”

 

La tesi di Antonio Vallone, dopo essersi soffermata sul tema del tradimento, prende in esame un caso reale e immagina come potrebbe essere gestito quel conflitto coniugale, esaminando le differenze di approccio tra i diversi orientamenti di mediazione familiare.

Può cliccare qui chi è interessato a leggere la tesi di Mediazione Familiare di Antonio Vallone.

Le altre tesi sulla mediazione familiare dei partecipanti ai corsi di Me.Dia.Re. si trovano nella pagina Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare, Penale…

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Terzo appuntamento di Note di Mediazione: ancora su “Soldi” di Mahmood

Nel terzo appuntamento della rubrica Note di Mediazione, per rispondere alle domande di Sara e Francesco, due persone che seguono la nostra pagina, torneremo sulla canzone analizzata la scorsa settimana, ossia “Soldi” di Mahmood. Nello specifico, Sara, chiede se sia opportuno ed, eventualmente in che modo possa, la figura della madre, entrare nel percorso di mediazione, mentre Francesco pone l’attenzione su un elemento che emerge, con costanza, nel testo, ossia quello dei soldi, chiedendo quanto questo possa essere influente nel percorso di Ascolto e Mediazione dei Conflitti, che il protagonista della canzone (in questo caso, anche autore della stessa) sta facendo presso noi di Me.Dia.Re.

 

Tesi di Fabiola Sacco: La Mediazione Familiare: una risorsa per le famiglie con minori disabili

La tesi di Fabiola Sacco di fine corso (Edizione XII Corso in Mediazione Familiare Maggio 2018 – Novembre 2019, dell’Associazione Me.Dia.Re.) mira a far comprendere come la mediazione familiare possa essere una risorsa di particolare importanza anche (e, per certi aspetti, soprattutto) per le famiglie con un minore disabile.

Le famiglie con minori disabili sono sottoposte a sfide quotidiane e a stress continuo e quindi hanno bisogno che le loro fragilità vengano accolte e ascoltate (…). Ho voluto, nel mio elaborato, parlare di mediazione e disabilità perché a mio parere è un discorso poco affrontato e che invece necessiterebbe di maggiore attenzione. Il mio intento è stato quello di sottolineare l’importanza della mediazione anche per queste situazioni delicate, in quanto queste famiglie, sono sottoposte a maggiore stress e non sempre dispongono degli strumenti necessari per poter affrontare delle crisi familiari”.

Può cliccare qui chi è interessato a leggere la tesi di Mediazione Familiare di Fabiola Sacco.

Le altre tesi sulla mediazione familiare dei partecipanti ai corsi di Me.Dia.Re. si trovano nella pagina Tesi dei Corsi di Mediazione Familiare, Penale… Tra queste, quella di Luca PuglieseLa mediazione familiare nella separazione di fronte alla disabilità.

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Figli e mediazione familiare: è giusto coinvolgerli?

Quale è il ruolo dei figli durante il conflitto tra i genitori?

I figli possono sembrare spettatori passivi rispetto alle discussioni che coinvolgono i genitori ma, la maggior parte delle volte, gli stessi vengono trascinati all’interno del conflitto e si trovano in una posizione molto svantaggiata poiché lo subiscono e non possono avere “voce in capitolo” a riguardo.

Ecco perché appare evidente quanto sia importante il dialogo tra genitori e figli, in particolare modo quando la coppia si trovi ad affrontare un passaggio molto delicato quale quello della separazione.

È altrettanto evidente quanto questo risulti difficile, soprattutto in questa fase nella quale la coppia è prevalentemente impegnata a farsi la guerra e risulta, per la maggior parte delle volte, cieca nei confronti di quello che sarebbe bene per i figli.

Molte volte, quando in una fase successiva viene chiesto ai figli di cosa avrebbero avuto maggior bisogno durante la separazione dei genitori, gli stessi rispondono che gli sono mancate, da parte di mamma e papà, spiegazioni e rassicurazioni in merito a quanto stesse succedendo.

È proprio attraverso la mediazione familiare che si possono aiutare i genitori ad assolvere a questo difficile compito rendendo partecipi, ove possibile, i figli nel percorso stesso.

Proviamo a vedere come.

Quali sono i pro e contro all’ascolto del minore?

Come anticipato, nel conflitto tra i genitori, il ruolo dei figli è, a volte, passivo, oppure essi vengono “triangolati emotivamente” dagli adulti che incanalano attraverso di loro i conflitti irrisolti.

Le reazioni che i figli possono avere sono atte ad esprimere i loro bisogni. Cercano, infatti, di proteggere i genitori e loro stessi ed il comportamento che assumono è lo specchio delle necessità che hanno ma che non sanno esternare in altro modo. (Parkinson, 2013, pp.204-205)

Sono molti i figli che vorrebbero avere voce in capitolo sugli accordi familiari, in particolar modo i figli più grandi pensando che dovrebbero essere coinvolti in decisioni che incideranno in maniera profonda sulla loro vita.

Siamo persone anche noi e non dovremmo essere trattati come dei malviventi, solo perché siamo giovani. Credo che noi ragazzi meritiamo lo stesso rispetto che i cosiddetti adulti si aspettano da noi. (Parkinson, 2013, p. 30).

Sono discordanti le opinioni dei mediatori riguardo il coinvolgimento diretto dei figli in mediazione.

Alcuni pensano che questo porterebbe danno verso le decisioni dei genitori poiché andrebbero ad indebolirle, ma l’esperienza di Regno Unito e di Australia dimostra che i figli possano trarre beneficio dal loro coinvolgimento in prima persona.

Questo può avvenire solo qualora si accertino prerequisiti fondamentali, ossia il consenso di entrambi i genitori, la riservatezza per tutti i partecipanti alla mediazione (eventualmente anche un consenso informato da parte del figlio) e la chiarezza del ruolo del mediatore.

In base ad uno studio fatto nel 1989 da Garwood, si rilevò che su 186 casi 43 visionati, solo 39 (il 19%) aveva visto il coinvolgimento dei figli e la ragione primaria era legata alla giovane età dei bambini (in media tre anni e mezzo).

Per metà dei casi i genitori non ritennero necessaria la presenza dei figli poiché si ritenevano in grado di poter avere con loro un dialogo tra le mura domestiche; per 14 casi ritenevano che i temi toccati in mediazione non li riguardassero; in 9 casi un genitore non aveva dato il consenso.

Appare evidente, quindi, che si debba discutere con i genitori, qualora si parli di un possibile coinvolgimento dei figli nel percorso di mediazione, i possibili vantaggi e svantaggi che gli stessi potrebbero averne (Parkinson, 2013, p.217).

Ma vediamo ora quali potrebbero essere i rischi e i benefici derivanti dal loro coinvolgimento.

Di seguito i potenziali svantaggi:

– Il loro coinvolgimento potrebbe aumentarne la sofferenza e la confusione

– Non dovrebbero essere coinvolti in quelle che sono negoziazioni tra adulti

– Non avendone responsabilità non dovrebbero essere trascinati nelle controversie tra i genitori

– Aumentare il loro empowerment rischia di indebolire uno o tutti e due i genitori;

– Potrebbero sentirsi sotto pressione nell’esprimere i loro punti di vista;

– L’autorità decisionale dei genitori potrebbe venir messa in crisi;

– I figli potrebbero temere di dover fare una scelta;

– Il mediatore potrebbe venire “triangolato” tra genitori e figli;

– Il conflitto di lealtà nel figlio potrebbe aumentare;

– I genitori potrebbero avere difficoltà nel gestire la sofferenza davanti ai figli;

– I figli potrebbero avere la falsa aspettativa che le cose migliorino;

– I genitori, attraverso pressioni, potrebbero manipolare il colloquio dei figli;

– I genitori, ricevuti i feedback, potrebbero provare rabbia nei confronti dei figli.

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Vediamo ora quali i potenziali benefici portati dal coinvolgimento:

– I figli possono ricevere spiegazioni e rassicurazioni;

– I figli capiscono meglio le decisioni dei genitori;

– Il coinvolgimento sottolinea l’importanza dei loro bisogni, punti di vista e desideri;

– La maggior parte dei figli coinvolti ne riferisce l’utilità.

– Si facilita la comunicazione riducendo le tensioni;

– Si possono risolvere malintesi;

– I figli possono fare domande, dare la loro opinione;

– I genitori possono dare ai figli messaggi che non riuscirebbero a comunicare in altro modo;

-I figli sono aiutati a mandare messaggi ai genitori sentendosi capaci di comunicarglieli;

– I figli possono liberamente esprimere le loro preoccupazioni anche di ordine pratico (si veda, ad esempio, la futura collocazione degli animali domestici);

– I genitori vengono aiutati ad ascoltare i figli i quali, a loro volta, percepiscono interesse nei loro confronti (Parkinson, 2013, pp.218-219).

Accordi con i genitori e con i figli.

Elemento essenziale in mediazione è la riservatezza.

Il mediatore, infatti, ad inizio del percorso di mediazione chiarisce quali siano le “regole” degli incontri ed una basilare è quella della riservatezza che lo stesso avrà nei confronti di ciò che le parti (singolarmente o meno) diranno durante i colloqui.

È importante, nel caso in cui si facciano entrare i figli in mediazione, che i genitori valutino attentamente quali dovranno essere i “paletti” oltre i quali non spingersi, ossia fino a che punto arrivare nelle discussioni con i minori e, poiché in questi casi, la riservatezza non potrà essere totale, si dovrà valutare come procedere ogni qualvolta si ritenga che il minore sia a rischio e, per questo motivo il genitore dovrà dare il consenso a procedere.

Altro punto su cui soffermarsi riguarda i feedback che si possono dare o meno ai genitori. Risulta chiaro che questo dovrà essere deciso esclusivamente dal minore e che, i genitori dovranno riuscire a capire che se un figlio nega il consenso ai feedback verso di loro questo non sta a significare che l’incontro non abbia avuto effetti positivi.

C’è da fare una distinzione tra figli più grandi e figli più piccoli. I primi, infatti, tendono (dopo il colloquio con il mediatore) a ritenersi capaci di poter comunicare ai genitori ciò che vogliono esprimere, senza il bisogno di una terza figura come intermediario, mentre i figli più piccoli hanno solitamente bisogno di un appoggio in più.

Si potrà presentare il caso in cui i minori chiederanno al mediatore di comunicare, a nome loro, qualcosa ai genitori; la cosa più appropriata da fare in merito consiste nel mettere per iscritto il messaggio da portare e controllarlo assieme al mittente  (Parkinson, 2013, p.221).

Di fondamentale importanza è che i genitori si trovino d’accordo sul fatto di non dare istruzioni ai figli prima del colloquio, perché questo potrebbe viziarlo, e sull’evitare di chiedere, dopo l’incontro, quello che avrebbero o non avrebbero detto.

I minori devono sentirsi liberi di parlare senza la paura di poter subire ripercussioni oppure di ferire uno o l’altro genitore; devono essere oltremodo rassicurati (da parte del mediatore) sul fatto che parleranno solo se vorranno farlo, saranno ascoltati ma non interrogati e non verrà richiesto a loro di prendere decisioni difficili o di assumersi grosse responsabilità.

Obiettivo primario del loro coinvolgimento in mediazione sarà quello di aiutarli, prestando particolare attenzione a non causargli ulteriore sofferenza.

Farli diventare parte del processo di mediazione, può aiutarli a capire meglio i loro bisogni, ciò che loro vogliono comunicare ai genitori e cosa vogliono sentirsi dire da questi ultimi e, per questo motivo, è indispensabile non vedere il colloquio con i figli a senso unico, atto solo ad indagare i loro sentimenti, ma capace di fornire spiegazioni adeguate alla loro età e trasmettere rassicurazioni, specialmente nei casi in cui la comunicazione con i genitori è stata interrotta.

Uno dei principali vantaggi è quello di riaprire un canale di comunicazione nella famiglia, così che si arrivi a riprendere a parlarsi, capendosi di più e facendolo in maniera empatica. (Parkinson, 2013 pp.222-223)

Daniela Meistro Prandi  

Fonti:

PARKINSON, L., (2013) “La mediazione familiare: modelli e strategie operative”. Erickson.