Archivio per mese: Settembre, 2019
Tipologie di conflitto e senso di riconoscimento
Il concetto di conflitto, per quanto latente, è parte concreta di gran parte delle teorie sociologiche: impossibile riportare tutte le riflessioni circa queste intersezioni relazionali, ma è plausibile orientare il focus su alcuni aspetti propri del conflitto, e legati, particolarmente, all’etá moderna in senso più ampio.
Le riflessioni di Jürgen Habermas, ad esempio, si muovono in questa direzione, e possiamo rileggerle sottoponendole al filtro della globalizzazione: vi troveremo espresse tipologie di conflitti che definiamo di “prima generazione”, tra gruppi o strati, oppure classi sociali, che, malgrado tutto, mantengono un senso di legittimità, mentre un’altra tipologia di conflitto va ricercata all’interno della socializzazione, dell’integrazione sociale e della riproduzione culturale, oltre i problemi di redistribuzione delle risorse materiali, per coinvolgere la grammatica delle forme di vita. Si tratta di quelli che possiamo definire di “seconda generazione”, cioè i conflitti di quartiere, di vicinato, familiari, scolastici, inter-culturali, di ambiente, legati al lavoro, etc.
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Se la tecnologia, frutto della ricerca avanzata “spoliticizza” l’individuo, mentre lo stato moderno impone le sue “esigenze sistemiche” sopra i mondi vitali degli uomini, occorre pensare a nuove metodologie interpersonali che affranchino il cittadino dalla passività e lo rendano attore di un “agire comunicativo”, in cui i singoli si sentano “partecipanti ad un discorso pratico”. La modernità prende, quindi, le mosse da una ragione universale che rende possibile la comprensione fra mondi vitali, ossia fra idee, discorsi e contenuti che ruotano attorno a individui o a gruppi di individui. Nella volontà di comunicare universalmente è custodito l’ideale etico della politica in cui confida Habermas anche quando, superati i conflitti sociali dovuti alla distribuzione della ricchezza, si aprono quelli relativi alla “grammatica delle forme di vita”, cioè i nuovi conflitti riguardanti le qualità della vita: l’ambiente, la salute, le culture e la partecipazione sociale“, quelli poc’anzi definiti come conflitti di “seconda generazione”.
Fondamentali risultano i bisogni di riconoscimento e legittimazione della società.
Axel Honneth fornisce ulteriori riflessioni sull’argomento: il conflitto sociale, attraverso la positività delle lotte da esso prodotte, può fornire un possibile contributo al progresso normativo.
Honneth considera compresenti le dinamiche di conflitto e progresso attraverso il concetto di riconoscimento.
È sul piano della lotta per il riconoscimento individuale e collettivo che da un contrasto, da un conflitto, possono svilupparsi le premesse per un progresso normativo e sociale.
Honneth considera che tanto il conflitto tra gruppi, quanto quello tra due soggetti presi individualmente, produca un potenziale di apprendimento pratico-morale, in quanto i soggetti sociali, all’interno di quei conflitti, risulterebbero consapevoli della propria dipendenza reciproca e del destino incrociato delle loro identità individuali.
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Nelle situazioni di violazione dell’integrità delle persone, la negazione di questa è una mancanza o rottura di rapporti di reciproco riconoscimento.
Avremo, per Honneth, diverse forme di affronto, a seconda del tipo di offesa: quando interessa l’integrità fisica (maltrattamenti fisici, lo stupro, cioè l’interruzione a livello corporeo della continuità del sé); se si tratta di una forma di umiliazione che colpisce la comprensione normativa di sé di un individuo (lo spregio della privazione del possesso di un diritto o un’emarginazione sociale); se determina uno svilimento di modi e ideali di vita individuali, oppure collettivi (considerati inferiori, difettosi, così che si nega al portatore di farvi riferimento e di auto-realizzarsi, di comprendersi come essere apprezzato nelle sue qualità e capacità peculiari).
Honneth, oltre all’antropologia più negativa, con gli effetti dell’umiliazione e dello spregio, contrappone ai tre modelli di violazione, altrettanti modelli positivi di reciproco riconoscimento, cioè possibili autorealizzazioni di soggetti sociali nella loro singolarità: rispettivamente all’amore, al diritto, e alla solidarietà, corrispondono i sentimenti sociali della fiducia in sé stessi, dell’auto-rispetto e dell’autostima, sentimenti nascenti all’interno di altrettanti riconoscimenti intersoggettivi.
Al termine di questo breve viaggio, il tratto che accomuna queste brevi riflessioni è rappresentato dalla comunicazione, in ognuna delle sue possibili forme: essa costituisce un discrimine fondamentale tra conflitto e facilitazione dell’integrazione sociale. Proprio su questo terreno, ricco di asperità e contrasti, e sulla cura della comunicazione stessa può agire, concretamente, la mediazione.
Paolo Ghiga
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Società e comunicazione
Viviamo una società ad alto rischio conflittuale, dove nessuno risulta immune da questa endemica e fisiologica “piaga” relazionale: le circostanze che illudono circa l’elusione di più drammatiche situazioni presentate quotidianamente dai notiziari, costituiscono una labile ed illusoria convinzione: il mattino successivo può presentarci il conto, bloccati dalla coda al semaforo, per recarci al lavoro, oppure in attesa presso un ambulatorio medico, o ancora con il nostro/a partner dopo una banale incomprensione di coppia.
I conflitti si presentano, prima o poi, in ogni relazione, sia questa tra persone, gruppi, piuttosto che tra organizzazioni e stati, e questo è un dato di fatto inconfutabile, oltre che una situazione inevitabile.
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Un esempio, tra le migliaia possibili, giunge dal cinema, con una pellicola ormai datata, figlia dell’allora postmodernismo e non già dell’attuale società liquida teorizzata da Bauman, intitolata Prigioniero della Seconda Strada, del 1975, protagonisti Mel (Jack Lemmon) e Edna (Anne Bancroft): è la storia di un ordinary man, con tanto di moglie adorabile e due figlie iscritte al college, con un buon impiego d’ufficio ed un appartamento confortevole. Un uomo che si direbbe realizzato: improvvisamente Mel precipita nel vortice incandescente del conflitto, dell’alienazione sociale, dapprima per futili motivi (quelli che spesso sottendono motivazioni più profonde), in una escalation che si fa, via via, sempre più coinvolgente.
La comunicazione è uno dei focus principali del film: nel caso di Mel si è trasformata in ostinato mutismo fatto di silenzi smarriti, un solipsismo iroso e becero che lo ha sospinto ai margini prima della famiglia, nel rapporto sempre più complicato con la moglie Edna, e poi della società.
Smarrita la capacità di comunicare, il contatto con la società, e, soprattutto, venuto a mancare il senso di riconoscimento da parte dell’altro, tutto è rimesso in discussione da una vampa improvvisa che fa terra bruciata intorno a sé, rendendo Mel estraneo al mondo sociale.
Quando la comunicazione, la capacità di relazionarsi a 360°, si deteriora, si interrompe, il rischio dell’isolamento, del possibile conflitto sociale, è più frequente di quanto si creda.
Grazie alla comunicazione, infatti, siamo in grado di essere parte attiva della società, anche se comunicare appare, nell’era virtuale dei social media, paradossalmente, sempre più complesso.
Innumerevoli gli studi condotti intorno alla comunicazione: seminale fu il lavoro di Watzlawick, Beavin e Jackson, tre ricercatori del Mental Research Institute (MRI) di Palo Alto, California, che ipotizzarono, nel testo Pragmatica della comunicazione umana edito nel 1966, che i rapporti interattivi fra individui siano determinati, essenzialmente, dai tipi di comunicazione che essi utilizzano tra loro.
Essi sostennero due tesi: secondo la prima, il comportamento patologico inteso come nevrosi, psicosi e in genere le psicopatologie, non esiste nell’individuo preso singolarmente, ma si tratta di un tipo di interazione patologica tra individui.
La seconda tesi sostiene, invece, come, attraverso lo studio della comunicazione, sia possibile individuare delle “patologie” della comunicazione e dimostrare che, in realtà, sono quest’ultime a produrre le interazioni patologiche.
Nel testo troviamo anche i cinque assiomi della comunicazione, che delimitano il terreno d’azione della comunicazione umana.
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Interessanti, ai fini dell’aspetto conflittuale della comunicazione, le riflessioni circa le relazioni basate sull’uguaglianza (la simmetria) o sul suo contrario, la differenza (l’asimmetria): l’interazione simmetrica è definita dall’uguaglianza e dalla minimizzazione della differenza, mentre il processo opposto caratterizza l’interazione complementare.
Il contesto sociale e culturale, ove ognuno potrebbe comportarsi in un certo qual modo tale da instradare il comportamento dell’altro, gioca un ruolo molto importante nel guidare queste relazioni (medico-paziente, genitore-figlio, insegnante-allievo, …).
I tre scienziati delinearono procedimenti pragmatici (comportamentali) che permisero di intervenire nelle interazioni e di modificarle.
Altra teoria, che attinge, in qualche misura, al lavoro dell’équipe di Palo Alto, è la Teoria dei sistemi, branca della teoria generale dei sistemi e concepita negli anni ’80 da Niklas Luhmann, e che mira alla comprensione della natura e del funzionamento della realtà sociale. Consiste nello sviluppo di un discorso sociologico in grado analizzare qualsiasi aspetto della realtà sociale: dalla singola interazione, passando per i gruppi organizzati, fino a quella complessa società che troviamo nella nostra epoca.
Alla base della teoria vi è il concetto di “sistema”. Secondo Luhmann un sistema è un insieme di operazioni o elementi collegati fra di loro grazie a criteri già prestabiliti o in base a programmi dotati di una certa autonomia. Uno degli assunti principali della teoria dei sistemi sociali è che i sistemi conservano la propria autonomia rispetto all’ambiente in cui operano. Esistono vari tipi di sistemi, i sistemi biologici, od organici, i sistemi psichici ed i sistemi sociali, che sono costituiti dalla comunicazione, come singole interazioni comunicative, organizzazioni o addirittura società.
Nella teoria dei sistemi sociali la comunicazione è costituita da tre processi: l’atto comunicativo, o azione, da parte di un soggetto (emissione), l’osservazione, o comprensione, di questo atto da parte di un altro soggetto (comprensione), e infine l’informazione riguardante un contenuto di senso che l’atto comunicativo ha trasmesso, intenzionalmente, a chi l’ha osservato.
La comunicazione risulta essere, quindi, l’insieme delle relazioni che sussistono e si sviluppano negli individui, tra di loro e verso l’ambiente naturale dove vivono.
In questa visione i sistemi sociali sono dunque reti (o processi) di comunicazioni, intrecciate fra loro ed anche, di conseguenza, a rischio conflitto. La realizzazione di tali processi va incontro, però, a due problemi importanti, presenti in tutti i sistemi sociali: il primo problema consiste nell’errata interpretazione dell’atto comunicativo, o addirittura nella mancata interpretazione di tale atto.
Il secondo problema consiste nella mancata osservazione di quell’atto da parte di chi dovrebbe riceverlo. Questo è un problema che potrebbe essere risolto dalla «compresenza fisica» del soggetto con cui stiamo comunicando.
Secondo Luhmann tutti i sistemi sociali si situano in un «ambiente»: esso è tutto ciò che non fa parte del sistema.
Ecco come l’ambiente e la società sono legate a filo doppio dalla comunicazione, unico vero strumento di comprensione e discrimine per monitorare la possibile conflittualità umana. La mediazione, allora, strumento che si declina sulla comunicazione, rappresenta una chiave di volta all’interno della contrapposizione dicotomica società-conflitto sociale.
Paolo Ghiga
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