Viene sciolta la Camera dei fasci e delle corporazioni il 5 agosto del 1943

Entra in vigore, il 5 agosto del ’43, il Regio Decreto-legge del 2 agosto 1943 n. 705 con il quale si scioglie, ma non si sopprime, la Camera dei fasci e delle corporazioni e si stabilisce che entro 4 mesi dalla fine della guerra si dovranno svolgere le elezioni per la Camera dei deputati. Quest’ultima era stata sostituita con la legge del 19 gennaio 1939, n. 129 che aveva istituito, appunto, la Camera dei fasci e delle corporazioni.

Essendo una costituzione flessibile, cioè modificabile con legge ordinaria, lo Statuto albertino (cioè, la Costituzione concessa dal Re Carlo Alberto nel 1848 e poi estesa al Regno d’Italia a seguito dell’unificazione), non necessitava di una particolare procedura di approvazione per essere modificato. Invece, a seguito dell’entrata in vigore dell’attuale Costituzione della Repubblica italiana, per introdurre norme di rilevanza costituzionale occorrerà approvare, per l’appunto, leggi costituzionali con la procedura appositamente prevista dalla Costituzione stessa.

Infatti, pur vigendo una costituzione liberale, per vent’anni l’Italia era stata governata dalla dittatura fascista: il 31 ottobre 1922 era sorto il governo di Benito Mussolini. Di fronte all’incalzare dello squadrismo fascista, che vedeva il suo apogeo nella mezza fallita marcia su Roma (visto che vi presero parte non più di 26.000 fascisti, invece dei 200.000 annunciati o dei 300.000 dichiarati poi dalla propaganda del regime), Vittorio Emanuele III di Savoia, ignorando i suggerimenti dell’allora Presidente del Consiglio dei ministri in carica, Luigi Facta, che gli chiedeva di firmare il decreto di proclamazione dello stato d’assedio, aveva deciso di affidare l’incarico di Presidente del Consiglio a Mussolini, sebbene, in quel momento, in Parlamento non sedessero più di 35 deputati fascisti (eletti nel 1921). In soli 33 giorni Mussolini era riuscito ad ottenere i pieni poteri, pur nel rispetto formale della Costituzione (lo abbiamo ricordato in questo post). Come si è visto in altri post, su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, anche con l’approvazione delle leggi fascistissime (le abbiamo ricordate nel post Le prime leggi fascistissime) era stato cancellato “legalmente” ogni residuo di libertà. E per vent’anni fu soppressa ogni speranza legalitaria, insieme ai più basilari diritti democratici (libertà di stampa, di manifestazione del pensiero, di associazione, di riunione, di insegnamento, a proposito della quale si rinvia ad un altro post), mentre si ripristinava la pena di morte, veniva introdotto un Tribunale Speciale per reati politici, si istituiva l’O.V.R.A., la polizia politica segreta (si veda questo post) per garantire l’effettiva persecuzione di ogni oppositore, data la formale messa fuori legge di tutti i partiti e tutte le organizzazioni politiche, tranne il partito fascista, e l’irrogazione delle lunghe pene detentive previste per chi ricostituiva le organizzazioni disciolte o si affiliava ad esse. Del resto nel 1928 si erano ridotte le elezioni a semplici plebisciti di approvazione di una “lista unica” di deputati designati dal Gran Consiglio del Fascismo. Nel 1939 le elezioni, rese di fatto inutili, erano state del tutto abolite nel 1939 proprio con la sostituzione della Camera dei Deputati con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, la quale era composta solo da fascisti nominati dal Governo, mentre il Senato rimaneva di nomina regia.

Il Regio decreto, entrato in vigore il 5 agosto del ’43, che sciolse l’organo legislativo del regime fascista, era, dunque, una diretta conseguenza della sfiducia a Benito Mussolini, votata il 25 luglio (come abbiamo ricordato in questo post), 8 giorni prima, e dell’arresto del duce per ordine del Re, Vittorio Emanuele III, che aveva affidato l’incarico di presidente del Consiglio dei Ministri al maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Più in generale, questi eventi furono determinati dalla grave situazione creatasi nel Paese come conseguenza dell’andamento disastroso della guerra, nella quale l’Italia, per volere di Mussolini, si era gettata, alleandosi con la Germania nazista e con l’Impero del Sol Levante.

La Camera dei Fasci sarà definitivamente soppressa con la legge 5 maggio 1949, n. 178, allorché sarà già in vigore la Costituzione repubblicana. La stessa legge del ’39, ormai del tutto priva di efficacia sarà formalmente abrogata solo nel 2009, con l’entrata in vigore di alcune norme di semplificazione normativa, previste dalla legge 18 febbraio 2009, n. 9 (legge di conversione, con modificazioni del decreto-legge 33 dicembre 2008, n. 200).

Alberto Quattrocolo

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Il 4 agosto del 1964 il cosiddetto incidente del Tonchino ‘legittima’ l’escalation dell’intervento militare degli Stati Uniti in Vietnam

Pare che Lyndon Johnson, l’allora presidente degli Stati Uniti, poche ore dopo l’incidente, così si espresse:

Maledizione, quei dannati imbecilli stavano sparando a dei pesci volanti!”.

Probabilmente infatti, gli uomini dello USS Maddox, cacciatorpediniere americano, ebbero l’impressione di essere stati attaccati dal nemico nordvietnamita e risposero al fuoco, sparando, tuttavia, al nulla.

Senz’altro si trovavano in una condizione di estrema tensione, viaggiando sul filo della provocazione nei confronti del nemico: le navi a stelle e strisce, durante le incursioni terrestri dell’esercito sudvietnamita, costeggiavano i territori del Nord, alla ricerca di informazioni strategiche. Questo comportamento aveva già portato a uno scontro il 2 agosto 1964, durante il quale si registrò l’affondamento di una nave nemica, a fronte di un unico colpo subito dallo stesso Maddox.

Due giorni dopo, erano le 22.30 circa, i marinai pensarono di aver individuato di nuovo, complice probabilmente il maltempo, delle imbarcazioni ostili e si comportarono di conseguenza. Giunta a Washington, la notizia, sommata a quella del 02.08, permise al Congresso di dare il via ad azioni militari di attacco, senza, tuttavia, dichiarare guerra. Guerra che si scatenò più avanti in tutta la sua violenza (su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, abbiamo ricordato il conflitto in Vietnam in diversi post, inclusi “I had a brother at Khe Sanh, Fighting off the Viet Cong” e 12 novembre 1969: il giornalista freelance Seymour Hersh scopre l’eccidio di My Lai), come è tristemente noto, proprio in seguito al contributo statunitense.

Alessio Gaggero

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Nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974 si consuma la strage dell’Italicus

Dopo il ricordo della strage di Bologna si veda il post Bologna, sabato 2 agosto 1980, 10:25.), su questa rubrica, Corsi e Ricorsi, vogliamo porre l’attenzione su un altro attentato degli anni di piombo e di stragi, forse uno dei meno noti: strage dell’Italicus.

Se Aldo Moro, allora Ministro degli Esteri, avesse effettivamente preso quel treno, le cose sarebbero andate senz’altro in modo diverso. Pare invece che dei suoi collaboratori lo fecero scendere sulla banchina per compilare alcuni documenti: le porte dell’Italicus gli si chiusero alle spalle. Lo salvarono? Non è detto. Forse non sarebbe stato tra le 12 vittime; forse nemmeno tra i 48 feriti. Di sicuro, se il democristiano fosse riuscito a sedersi al proprio posto, la copertura mediatica avrebbe vantato tutt’altra ampiezza.

La bomba esplose all’1:23 del 4 agosto 1974, quando l’espresso 1486 Roma – Monaco era, fortunatamente, solo a pochi metri dall’uscita della Grande Galleria dell’Appennino. Chi aveva piazzato l’ordigno? Dopo tre gradi di giudizio, nessuno fu trovato colpevole, né come esecutore, né come mandante. Si sospettava e si sospetta ancora, tuttavia, il coinvolgimento di gruppi neofascisti, che rivendicarono l’attentato, dei Servizi segreti deviati e, ancora una volta, della P2 di Licio Gelli (della P2 abbiamo parlato nei post Il 23 settembre 1981 è istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2Cirillo, la Camorra, le BR …Il giudice Minervini, un uomo abbastanza serio da non prendersi troppo sul serio), anche nell’alterazione delle indagini. Peraltro, non si può trascurare che la strage di Bologna, avvenne il 2 agosto di 6 anni dopo di quella dell’Italicus e il giorno successivo a quello in cui il giudice istruttore di quest’ultima aveva depositato il rinvio a giudizio per i responsabili della strage di quella notte d’agosto del ’74. Infatti, furono incriminati come esecutori diversi esponenti del neofascismo italiano, ma l’iter processuale si concluse con l’assoluzione da parte di una sentenza della Cassazione (nel 1987), in particolare del giudice Corrado Carnevale. Risulteranno poi essere iscritti alla P2 molti dei personaggi coinvolti nella vicenda, in ruoli diversi: il generale dei CC Luigi Bittoni, l’ammiraglio Gino Birindelli, il capitano Corrado Terranova, il colonnello dei CC di Arezzo Domenico Tuminello, il pm di Arezzo Mario Marsili, Federigo Mannucci Benincasa. Del resto i vertici dei servizi segreti del periodo, il generale Vito Miceli e il generale Gianadelio Maletti, erano iscritti alla P2. E in contatto con Licio Gelli o con la P2 erano anche gli estremisti neri sospettati di aver materialmente compiuto l’attentato.

Va ricordato che la strage dell’Italicus seguì di poco più di due mesi quella di piazza della Loggia, a Brescia (si veda il post Strage di piazza della Loggia ). Quella piazza bresciana era gremita a causa di una manifestazione contro il terrorismo neofascista – in particolare in relazione alla strage neofascista di piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 (l’abbiamo ricordata qui) -,  indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. Otto persone avevano perso la vita in piazza della Loggia.

Dieci anni dopo, proprio nella Grande Galleria dell’Appennino, prima di entrare nella quale era esploso l’Italicus, scoppiò una bomba sul Rapido 904.

La strage del Rapido 904, del 23 dicembre 1984 (l’abbiamo ricordata qui), uccise 15 persone e ne ferì 267. Un’altra strage senza colpevoli, ma che, come quelle di piazza Fontana, piazza della Loggia, dell’Italicus e di Bologna, per non citare che le maggiori, rientrava nella prospettiva della “strategia della tensione”, creare cioè nel Paese una tensione tale da rendere “necessario” un intervento di tipo autoritario.

Un solo fascio di luce, all’interno dell’ oscura vicenda dell’Italicus che, con le altre stragi, ha segnato la storia del nostro Paese, si intravede nel gesto coraggioso del conduttore dell’Italicus: Silver Sirotti, infatti, affrontò le fiamme nel tentativo di salvare i passeggeri rimasti sul mezzo. Perse la vita, ma la Repubblica lo riconobbe degno della Medaglia d’oro al valor civile.

Alessio Gaggero e Alberto Quattrocolo

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La mediazione come ascolto e confronto

Generalmente intendiamo con il termine dialogo un discorso fra due o più persone che miri ad un’intesa. Tant’è che aprire un dialogo fra parti contrapposte indica il tentativo di persone disposte a ragionare con l’intento di raggiungere una verità o un’opinione condivisa: quando infatti si utilizza l’espressione “tra noi manca il dialogo”, indichiamo il fatto che ognuno resta della propria opinione.[… ]

Se il dialogo presuppone un concetto di verità, il confronto prevede, invece, che ci sia il reciproco presentarsi di due punti di vista a cui viene offerta la possibilità sia di un incontro sia di uno scontro, sia di una convergenza sia di una divergenza.

Se solo e sempre sulla premessa della disponibilità al dialogo si fondasse l’attività di mediazione, sarebbe assai poco frequente il suo concreto e operativo dispiegarsi, poiché raramente in caso di conflitto vi è una tale propensione tra le persone che ne sono protagoniste.

Se la prospettiva della mediazione, però, invece che puntando sull’intenzione di sviluppare un dialogo, è proposta ai confliggenti nei termini di un’occasione per avere uno o più momenti di (eventuale) confronto, allora le possibilità di adesione a tale risorsa aumentano sensibilmente.

Il modello di mediazione sviluppato da Me.Dia.Re., proposto come percorso di Ascolto (della persona) e Mediazione (del conflitto), offre alle persone in conflitto, in primo luogo, dei momenti di ascolto (colloqui individuali) e successivamente, se richiesti, dei momenti di confronto (incontri di mediazione).

Naturalmente anche negli incontri di mediazione, come nei colloqui individuali, il compito del mediatore è quello di svolgere un’attività di ascolto, che in tal caso si declina anche come supporto allo sviluppo del confronto.

Ciò, però, va attuato guardandosi dall’assumere un atteggiamento non solo giudicante ma anche, esplicitamente o implicitamente, direttivo. La funzione del terzo – il mediatore -, infatti, consiste nel tentare di far sì che ciascuno dei protagonisti del conflitto (e della mediazione) senta di essere compreso e riconosciuto da lui.

Questa condizione, a ben vedere, come pone in luce l’esperienza, rende possibile poi il progressivo declinarsi del confronto sul piano del dialogo. Ma si tratta di uno sviluppo scelto e posto in essere autonomamente dai protagonisti, non stimolato, suggerito o indotto dal mediatore.

Rielaborazione da D’Alessandro M. (2016), Mediazione tra dialogo e confronto, in La Giustizia Sostenibile, vol. IX,  (pag. 27-31), Aracne, Roma.

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Bologna, sabato 2 agosto 1980, 10:25.

Della strage di Bologna si può senz’altro dire che è qualcosa di enorme. Lo è stata quell’esplosione, lo è il numero di vittime e di feriti, lo è la narrazione della sua storia e, soprattutto, lo è la sua complessità.

Il 2 agosto 1980, alle 10.25, esplose una bomba nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. L’esplosione investì il treno che era in sosta al binario uno, interessò il tunnel sotto i binari e fece crollare l’ala sud-ovest della stazione. Le persone che persero la vita furono 85, più di 200 furono i feriti. Si trattò del più alto numero di vittime in un attentato nella storia del Paese.

L’attentato di Bologna del 1980 si distingue da tutti gli altri, al di là dei numeri, per l’impatto emotivo che ha avuto, e ha tuttora, sul nostro paese. Un impatto testimoniato da quell’orologio, fatto volontariamente fermare dai cittadini, a imperitura memoria di una ferita che ancora non si è rimarginata. E per ora non può farlo.

In quell’estate del 1980 molti italiani consideravano chiusa la stagione stragista, quella delle bombe in Italia, realizzata da organizzazioni terroristiche neofasciste, su mandato di personaggi ed entità mai definitivamente o completamente individuate. Una stagione inaugurata nel 1969 con la strage di Piazza Fontana (questa e altre analoghe stragi sono state ricordate su questa rubrica, Corsi e Ricorsi). Gli obbiettivi delle organizzazioni terroristiche rosse erano sempre stati singoli individui e sembrava che anche per quelle nere fosse ormai così: ad essere assassinati erano magistrati, intellettuali, giornalisti e politici.

La bomba del 2 agosto smentì amaramente questa convinzione.

Le indagini portarono all’eversione fascista, in particolare a investigare nei confronti dei N.A.R., Nuclei Armati Rivoluzionari (li abbiamo ricordati nei post Quel “no” di Maurizio ArnesanoBruno Caccia, l’unico magistrato assassinato al Nord dalle mafie e I Nuclei Armati Rivoluzionari assassinano Francesco Straullu 21 ottobre 1981), e dei suoi leader Valerio Fioravanti, detto Giusva, e Francesca Mambro, sua compagna. Il movente sembrò essere legato alla precedente strage del treno Italicus, avvenuta nella notte tra il 3 e 4 agosto 1974 (si veda questo post): il giudice istruttore di quest’ultima aveva depositato il rinvio a giudizio per i responsabili proprio l’1 agosto 1980. Il processo contro Giusva Fioravanti, Francesca Mambro ed altri individui legati all’ambiente neofascista iniziò a Bologna nel 1987. L’accusa era di costituzione di banda armata e strage, di associazione sovversiva e di calunnia aggravata. Tra gli indagati c’era anche Stefano delle Chiaie, nonché esponenti dei servizi segreti come Giuseppe Belmonte, Pietro Musumeli e Francesco Pazienza, oltre a Licio Gelli, gran maestro delle loggia massonica P2 (della quale abbiamo parlato nei post Il 23 settembre 1981 è istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2Cirillo, la Camorra, le BR …Il giudice Minervini, un uomo abbastanza serio da non prendersi troppo sul serio). Come per le altre stragi anche per quella di Bologna furono poste in atto fortissime attività di depistaggio. L’obiettivo era a impedire l’individuazione degli autori materiali e dei mandanti, nonché insabbiare i moventi. Ad esempio, furono fatte delle false rivendicazioni telefoniche, alle redazioni dei principali quotidiani, da parte dei N.A.R. e delle Brigate Rosse. Erano fasulle e furono smentite dagli stessi gruppi terroristici. Successivamente, si scoprì che quelle chiamate erano partite da un’ufficio fiorentino del servizio segreto militare, il Sismi. Un altro tentativo di depistaggio tentò di indirizzare i magistrati verso presunti terroristi stranieri e neofascisti italiani latitanti all’estero. Non era che una macchinazione realizzata da una frangia deviata dei servizi segreti.

Dopo varie sentenze e colpi di scena, nel 1995, si giunse alla condanna all’ergastolo di Fioravanti e Mambro come esecutori materiali, che, però, si sono sempre dichiarati innocenti rispetto alla strage, riconoscendosi responsabili di molti altri omicidi. Nel 2007 la Corte di cassazione riconobbe la responsabilità anche di Luigi Ciavardini, anch’egli esecutore materiale. Furono condannati, con sentenza definitiva, per depistaggio delle indagini Licio GelliFrancesco Pazienza e gli ufficiali del Sismi Pietro Musomeli Giuseppe Belmonte. Restano, però, ancora molte ombre. Si sono succedute tante teorie e ulteriori testimonianze, con livelli diversi di attendibilità. Resta, quindi, una dose importante di mistero su questa strage che è quasi impossibile non inserire nel quadro della strategia della tensione.

L’Espresso, a fine luglio del 2018, pubblicò documenti inediti che parlavano del coinvolgimento dei Servizi segreti nella vicenda. In effetti, il 22 aprile 2014, il Governo Renzi aveva firmato la direttiva per la de-classificazione degli atti relativi a diversi “misteri d’Italia”, tra i quali, la strage di Bologna. Inoltre, la Procura generale del capoluogo emiliano aveva avviato una rogatoria in Svizzera a inizio 2018.

39 anni sono tanti per sapere la verità, anche in Italia. Viene da chiedersi quanto ancora dovremo aspettare per sapere come sono andate realmente le cose, in quei giorni. Quanto ancora dovrà attendere l’orologio della stazione, per poter ripartire? Quando sapremo quanto quella strage e coloro che la vollero hanno sotterraneamente inciso sulla vita politica e non solo di tutti noi.

Renato Zangheri, sindaco di Bologna, cinque giorni dopo la strage, tenne un discorso in piazza Maggiore. Tra le altre cose disse:

Corpi straziati chiedono giustizia, senza la quale sarebbe difficile salvare la Repubblica; chiedono pronta identificazione e condanna dei colpevoli di tutti i delitti che hanno macchiato l’Italia in questi anni; chiedono la sconfitta della sovversione, e le condizioni di una vita e di una democratica ordinata.
Incertezze e colpevoli deviazioni hanno subito le indagini da Piazza Fontana ad oggi.
Troppe interferenze e coperture sono state consentite.
Ora la sincerità del dolore e della condanna si misurano sui fatti ed esclusivamente su di essi, sulla volontà e sulla capacità politica e giudiziaria di far luce sulle trame eversive e sui delitti che si susseguono in un crescendo inaudito.
Non spetta a noi indicare le linee della politica nazionale, ma è certo che è necessaria una prospettiva politica di fermezza e di chiarezza, che raccolga il consenso del popolo.
E’ certo che coloro i quali hanno ricevuto le responsabilità di governo e parlamentari dal popolo, tutti coloro che esercitano funzioni pubbliche, dal popolo verranno giudicati per quello che faranno, con una vigilanza e sensibilità moltiplicate dall’angoscia di questi giorni e dalla gravità estrema del crimine che è stato commesso.
Ognuno dovrà compiere il proprio dovere, come l’hanno compiuto le donne e gli uomini accorsi alla stazione di Bologna nelle ore della strage, per soccorrere e salvare: semplici cittadini, personale sanitario, magistrati, dipendenti degli enti locali, ferrovieri, vigili del fuoco, militari, forze dell’ordine, e la moltitudine che è su questa piazza a raccogliere la sfida del terrorismo.
Grazie di essere venuti. Assieme non potremo essere sconfitti.
Il saluto alle vittime è in questo momento, signor Presidente della Repubblica, una promessa morale e politica di fedeltà alle ragioni del progresso umano ed è fiducia in una giustizia che non può fallire perché poggia sull’animo di grandi masse di donne e di uomini.
Così noi affermiamo oggi la nostra difficile speranza e chiediamo a tutti di combattere perché la vita prevalga sulla morte, il progresso sulla reazione, la libertà sulla tirannia”.

Alberto Quattrocolo e Alessio Gaggero

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Il primo agosto del 2016 il Senato approva il disegno di legge sul caporalato

Il primo agosto 2016 l’Aula del Senato approvò il disegno di legge contro il fenomeno del cosiddetto caporalato. Votarono a favore 190 deputati, a fronte di nessun voto contrario e soltanto 32 astensioni. Il 18 ottobre la Camera dei deputati lo approvò definitivamente: votarono a favore 336 deputati, nessun contrario, ma si astennero 25 deputati tra Forza Italia e Lega.

Un anno prima dell’approvazione della legge, Paola Clemente, bracciante agricola di 49 anni stroncata da un infarto, morta letteralmente di fatica, mentre lavorava nelle campagne di Andria il 13 luglio del 2015. Paola Clemente e le sue 600 colleghe ricevevano un salario molto più basso di quanto indicato nella busta paga dell’agenzia interinale che forniva la manodopera: 30 euro per 12 ore di lavoro, dalle 3:30 del mattino alle 15:30. Queste 600 braccianti erano tutte donne poverissime, con figli piccoli e mariti senza lavoro. Il 23 febbraio del 2017 gli sfruttatori vennero arrestati.

Il rapporto “Agromafie e caporalato”, realizzato nel 2016 dall’osservatorio “Placido Rizzotto” della Flai Cgil, stimava il volume complessivo d’affari generato da questa forma di economia illegale e sommersa, diffusa in tutto il Paese, dal Piemonte alla Sicilia, intorno a 17 miliardi di euro e calcolava che le vittime del caporalato, italiani e migranti, fossero all’incirca 430 mila persone. Quasi mezzo milione di persone impegnate nella produzione agroalimentare in Italia, che costituisce la più grande eccellenza del nostro Paese, che, invece, di essere riconosciute e rispettate come persone e come lavoratori, venivano e, purtroppo, ancora vengono sottoposte a violenza, ricatti, abusi.

Il segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota, commentando il bilancio delle attività dell’Ispettorato nazionale del lavoro nel 2019, ha espresso le seguenti osservazioni.

Soltanto nei primi cinque mesi dell’anno si contano 39 arresti, 139 denunce a piede libero, con un +182% delle denunce penali rispetto al 2018, e 2400 posizioni lavorative irregolari rilevate, la metà delle quali totalmente in nero (…) È difficile dire se il fenomeno del caporalato sia aumentato o diminuito, ma di certo questi dati dimostrano che con maggiore attenzione da parte delle istituzioni aumentano i casi rilevati e puniti, il che conferma la bontà degli strumenti costruiti con la Legge 199 e l’esigenza di un maggiore coordinamento tra enti, istituzioni e forze dell’ordine (…) Le istituzioni e tutta la politica ascoltino l’appello fatto dai 6mila lavoratori scesi in piazza a Roma l’11 maggio (…): basta con atteggiamenti altalenanti, si agisca concretamente per far funzionare la cabina di regia, per incentivare le adesioni alla rete del lavoro agricolo di qualità, valorizzare il ruolo degli enti bilaterali, replicare le buone pratiche su alloggi e trasporti per i lavoratori, regolamentare meglio l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”.

Con l’approvazione della legge (detta anche legge Martina, dal nome del Ministro proponente, Maurizio Martina) venivano posti alcuni degli strumenti legali per combattere i fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e per procurare un riallineamento retributivo nel settore agricolo. In sintesi tali “strumenti” sono il nuovo reato di intermediazione illecita e quello di sfruttamento del lavoro, con la responsabilità diretta del datore di lavoro, con una semplificazione delle circostanze in presenza delle quali si realizza lo sfruttamento, e la previsione della possibilità di commissariamento dell’azienda.

In cosa consiste il caporalato? Secondo la legge, che la definisce  intermediazione illecita, è quella pratica messa in atto da chi recluta manodopera, per conto di altri, e la sottopone a condizioni di sfruttamento, facendo leva sullo stato di bisogno in cui si trovano i lavoratori in questione, quindi anche a a prescindere dal ricorso a comportamenti violenti, minacciosi o intimidatori; il reato di sfruttamento colpisce non l’intermediario (il “caporale”) ma direttamente il datore di lavoro (che può anche avvalersi dell’intermediazione appena esposta, cioè del “caporalato”), quando crea la condizione di sfruttamento approfittando di uno stato di bisogno.

Cosa s’intende con il termine “sfruttamento”? Secondo la nuova normativa, è sufficiente la presenza di una delle seguenti condizioni:

  • il lavoratore è costantemente retribuito in misura largamente inferiore rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi, o comunque sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro svolto;
  • non rispetto delle leggi riguardanti l’orario, il riposo, l’aspettativa e le ferie;
  • non rispetto delle leggi in tema di sicurezza e igiene;
  • il lavoratore è sottoposto a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o situazioni abitative degradanti.

Oltre alla definizione della fattispecie di reato, la nuova regola estende, per i caporali e per gli imprenditori che fanno ricorso alla loro intermediazione, responsabilità e sanzioni (la pena prevista per entrambe le ipotesi è della reclusione da uno a sei anni e della multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore. Il reato viene considerato più grave nel caso in cui il reclutamento avvenga con violenza o minaccia: in questo caso la reclusione è da 5 a 8 anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato ed è previsto l’arresto in flagranza), mentre a favore delle vittime sono destinate le provvidenze del Fondo anti-tratta.

Per l’entrata in vigore della legge si dovette aspettare il 29 ottobre, quando, dopo l’approvazione anche da parte della Camera, avvenne la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

 Secondo, Onofrio Rota, la legge 199/2016 “è stata una legge importante che per questo settore si può paragonare ad un faro, facendo emergere il problema nella sua interezza“. Ma “è fondamentale il lavoro congiunto tra organizzazioni sindacali e prefetture, le cosiddette cabine di regia“. A titolo esemplificativo il segretario generale della Fai Cisl ricorda  “l’accordo firmato con Regione Lazio, che ha messo a disposizione dei lavoratori, i voucher per l’utilizzo dei mezzi pubblici. In modo tale che raggiungano serenamente il posto di lavoro, senza essere disturbati dai caporali dei trasporti“.

Resta da ricordare che il rapporto 2019 su lavoro e legislazione sociale redatto da Inl e Inps evidenzia che oltre due aziende su tre sono risultate irregolari nel 2018 in rispetto alle normative sul lavoro. Le imprese presso le quali le verifiche effettuate hanno portato ad accertare illeciti sono state in totale 98.255, con un tasso di irregolarità degli accertamenti definiti pari al 70% (+5% rispetto al 2017). A seguito dei controlli, sono state intercettate 162.932 posizioni di lavoratori irregolari e tra questi, sul fronte del contrasto del lavoro sommerso, 42.306 lavoratori in nero (pari al 26% del totale degli irregolari). Quindi, nelle realtà indagate, un quarto dei lavoratori irregolari è risultato totalmente in nero. Quasi la metà delle aziende irregolari scoperte aveva un lavoratore in nero.

Rispetto al caporalato le 7.160 ispezioni hanno evidenziato un tasso di irregolarità di circa il 54,79%, quindi superiore di oltre 4 punti percentuali rispetto al 2017 (50%). Dei 5.114 lavoratori irregolari riscontrati, 3.349 (65,5%) sono risultati in nero e, tra questi, 263 erano cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno. Ben 479 sono stati i provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale (+25% rispetto ai 360 del 2017), 404 dei quali (l’84%) sono stati poi revocati a seguito di intervenuta regolarizzazione.

Alberto Quattrocolo
Alessio Gaggero

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