Utilità della mediazione

Qual è l’utilità di una mediazione quando si è al centro di un doloroso, angoscioso, sfibrante, amaro conflitto? Risparmiare il tempo e il denaro derivante da una gestione giudiziaria? Sì, ma non solo.
Quando siamo coinvolti in conflitti a cui non riusciamo mai a smettere di pensare – quei conflitti che ci fanno bruciare lo stomaco e ci tengono svegli la notte, che ci fanno sentire impotenti e furiosi – tra le tante cose che ci abbattono vi è il sapere che l’altro interpreta tutto ciò che facciamo o non facciamo, tutto ciò che diciamo o non diciamo in termini negativi. Pensa e reagisce a noi e alle nostre azioni, secondo l’immagine negativa che ha sviluppato nella sua mente. L’immagine che ha di noi è l’immagine del nemico. Ebbene, la mediazione aiuta risolvere questi nodi, consente di sciogliere questi blocchi cognitivi ed emotivi, permette alle persone in conflitto di guardarsi l’un l’altro per come sono e non per come il conflitto li ha stravolti.

Tratto dalla relazione di A. Quattrocolo (“Casi pratici di mediazione in materia sanitaria”) nel convegno “La mediazione nella responsabilità medica e nel volontariato”, 3 maggio 2018, realizzato da DPL Mediazione &Co. e A.V.O. Associazione Volontari Ospedalieri presso l’Ospedale G. Pini, Milano

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Il riconoscimento delle emozioni in mediazione

Pur essendo esperienza comune che, quando si litiga, le emozioni spesso prendono il sopravvento sulla nostra supposta razionalità, la dimensione emotiva è quella meno riconosciuta e accolta in tutte le sedi nelle quali il conflitto tradizionalmente approda per essere risolto.

Nel modello di mediazione sviluppato da Me.Dia.Re., il riconoscimento delle emozioni e dei sentimenti costituisce, invece, un aspetto centrale del percorso, che, non a caso, si chiama non solo di mediazione, ma di Ascolto (delle persone) e Mediazione (dei conflitti).

Ciò implica che anche gli stati d’animo più scomodi, quelli che apparentemente sembrano perpetuare o rilanciare le ostilità, vengono accolti e legittimati. Il non farlo, infatti, equivarrebbe a svolgere un ascolto selettivo. In sintesi: io, mediatore, ascolto solo quello che mi pare congruo e funzionale al mio obiettivo e non ciò che, a mio giudizio, allontana il suo raggiungimento.

Non accogliere sentimenti ed emozioni intrisi di conflittualità, quindi, sotto questo profilo, significherebbe giudicare negativamente tali stati d’animo e, sotto sotto, rifiutarli, perché sconvenienti. Equivarrebbe, in altri termini, ad una non accettazione delle persone in conflitto per come sono, ritenendo, forse, che in tal modo possano diventare come si vorrebbe che fossero, cioè: meno conflittuali.

Ma la premessa di ogni teoria e pratica di mediazione è che essa dev’essere non giudicante e  deve fondarsi sull’ascolto, necessariamente a-valutativo delle parti.

Tratto da Quattrocolo A. (2005) La mediazione trasformativa, in Quaderni di mediazione, Puntodifuga Editore, anno I, n.1

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