1977, irruzione della polizia nella sede di Radio Alice
Ancora un appello di radio Alice, radio Alice ha la polizia alle porte e tutti i compagni del Collettivo giuridico di difesa, per favore, si precipitino qui in via Pratello.
……
Mauro: Risponde nessuno ?
Valerio: Non risponde nessuno.
Mauro: Attenzione, tutti i compagni del Collettivo Giuridico di difesa telefonino alla radio e si precipitino immediatamente qui.
(squilla il telefono)
Mauro al telefono: Pronto sì.
Polizia: Aprite! (rumore di colpi).
Mauro al telefono: ascolta (ancora rumori di colpi più forti) c’è la polizia qui, stiamo aspettando gli avvocati…
Attenzione, qui ancora Radio Alice, stiamo aspettando che arrivino gli avvocati per poter fare entrare la polizia. C’è la polizia che sta tentando di sfondare la porta in questo momento (rumore di colpi)… Non so se sentite i colpi per radio (rumori di fondo confusi)… abbassa il coso…
Valerio al telefono: Sì, c’è la polizia alla porta che tenta di sfondare, hanno le pistole puntate e io mi rifiuto di aprire, gli ho detto finché non calano le pistole e non mi fanno vedere il mandato. E poi siccome non calano le pistole gli ho detto che non apriamo finché non arriva il nostro avvocato. Puoi venire d’urgenza, per favore, ti prego d’urgenza, ti prego… c’hanno le pistole e i corpetti antiproiettile e tutte ‘ste palle qua… via del Pratello 41.. ok! ti aspettiamo… ciao.
Sono circa le 23 del 12 marzo 1977 a Bologna; dal giorno prima, il centro cittadino è sconvolto da pesantissimi scontri di piazza tra studenti della sinistra extraparlamentare e le forze dell’ordine, seguiti alla contestazione di un’assemblea di Comunione e Liberazione, durante i quali Francesco Lorusso, studente e militante di Lotta continua, rimane ucciso da un colpo d’arma da fuoco (probabilmente sparato da un carabiniere, ma l’inchiesta sarà archiviata). L’allora ministro dell’Interno, Francesco Cossiga, dispone l’invio di mezzi blindati nelle strade del centro, suscitando una profonda impressione nell’opinione pubblica, che percepisce e descrive i cingolati come “carri armati nel cuore della capitale dell’Emilia rossa”.
Al momento la città è calma, le forze dell’ordine si sono ritirate dalla zona universitaria e sembra che si stia andando verso una riduzione del livello dello scontro. Radio Alice, espressione del movimento studentesco cittadino, ha seguito per intero i due giorni di guerriglia urbana; in sede ci sono una ventina di persone, si discute degli scontri e della situazione di piazza, sia in onda, sia fra i presenti. Violenti colpi alla porta segnalano l’arrivo della polizia (preannunciato telefonicamente mezz’ora prima, secondo il responsabile dell’operazione Ciro Lomastro): qualcuno fugge dai tetti, cinque persone vengono arrestate, malmenate e incarcerate con l’accusa di aver guidato gli scontri attraverso i microfoni dell’emittente; dopo mesi di custodia cautelare e sette anni di attesa, il processo si concluderà con l’assoluzione.
Radio Alice invece muore quella sera, sulla battuta surreale e dadaista che, alla fine della drammatica diretta dell’irruzione, con la polizia che stava sfondando la porta in assetto da guerra, esce di bocca all’umore nero di Valerio, che stava al piatto del giradischi:
Ecco qui Beethoven, se va bene bene, sennò, seghe.
Umberto Eco ci farà una lezione alla Sorbona.
Radio Alice era nata nel febbraio del ‘76, al suono di “White Rabbit” dei Jefferson Airplane, dopo molti mesi di fantasiosa gestazione. C’erano almeno due anime all’origine di quella radio, una eticamente intransigente e controinformativa e un’altra poetico-libertaria. I protagonisti raccontano che si tenevano conciliaboli e la notte si facevano prove di trasmissione; poi si salì sui tetti e nelle mansarde e si lanciarono i primi segnali verso il mondo in ascolto.
Di mattina si udivano mantra e lezioni di yoga e la voce di un cantautore pugliese che suggeriva: “Lavorare con lentezza / senza fare alcuno sforzo / ritmo pausa pausa ritmo / pausa pausa pausa pausa pausa pausa…”. All’ora di pranzo si leggevano racconti di Ambrose Bierce, terrificanti e orridi. La sera si riuniva negli studi celesti della radio una piccola folla di suonatori, qualcuno leggeva Majakovski. E squillava il telefono, e le voci seguivano alle voci. Nacque l’idea di rilanciare il grido “abbasso l’arte abbasso la vita quotidiana abbasso la separazione fra l’arte e la vita quotidiana”, che Tristan Tzara aveva lanciato sessant’anni prima. Si faceva tanta controinformazione, con l’idea che
quando il potere dice la verità e pretende che sia naturale, noi dobbiamo denunciare quel che vi è di disumano e di assurdo in questo ordine della realtà che l’ordine del discorso riproduce e riflette, e consolida. Svelare il carattere delirante del potere.
Radio Alice nasce dal collettivo “Cooperativa di Studi e Ricerche sul Linguaggio Radiofonico”: conduttori improvvisati, ma non impreparati. L’attrezzatura radiofonica messa a disposizione da un negozio amico, un trasmettitore recuperato da un vecchio deposito di materiali militari, una soffitta di due locali in via del Pratello, due sentenze della Corte Costituzionale che avevano da poco reso l’etere libero. Ma, soprattutto, un’intuizione, semplice e geniale: collegare il filo del telefono all’antenna della radio. “In termini mediologici: connettere un medium individuale a un medium broadcast, esattamente quello che ora facciamo ogni minuto con i cellulari connessi a Internet”. In Italia solo una trasmissione Rai usava il telefono allora, “Chiamate Roma 3131”, ma era tutto registrato e filtrato.
Le telefonate in diretta cambiano tutto: “Quindici giorni dopo non eravamo più padroni della radio. Nessuno lo era”. Si iniziava al mattino senza sapere cosa sarebbe andato in onda entro sera. Unico appuntamento fisso, le favole per mandare a letto i bambini. Per il resto, microfono a disposizione di chi aveva qualcosa da dire, le due stanzette invase, ci incontravi gli Skiantos, Pazienza, Bifo, Scozzari, Claudio Lolli, Bonvi, i “frocialisti”, le femministe, il collettivo “Rasente i muri” dei compagni mollati dalle compagne diventate femministe, Stockhausen e i Gaznevada, Majakowski e il Dams, quello che chiamava per commentare la politica internazionale e quello che voleva sapere “dov’è Giovanna”; e ancora, la radiocronaca “in diretta” del ritorno di Lenin a Mosca e della presa del Palazzo d’Inverno, la telefonata che, invece della voce di un ascoltatore, trasmette uno struggente assolo di sax, le trasmissioni sulle proprietà dell’acqua o sulla musica modale, le incomprensibili storie raccontate da un gruppo di studenti della Val Camonica, in strettissimo dialetto Camuno, in cui la sola frase intelligibile in italiano era il tormentone “… perché noi camunisti…”. Nei giorni degli scontri del marzo ’77 le cabine telefoniche erano i terminali di una diretta sugli scontri, che la radio ritrasmetteva.
La gente girava per la città con la radiolina accesa, “ascoltando anche momenti di trasmissione orrendi, pur di non rischiare di perdersi quelli meravigliosi ed imprevedibili, che ogni tanto premiavano la costanza”.
In oltre quarant’anni, i tredici mesi di Radio Alice hanno prodotto articoli, saggi, film e documentari, tesi di laurea; la registrazione audio della chiusura della radio manu militari è la trasmissione radiofonica più replicata in Italia. Il carattere di quell’esperienza non è stato frutto del caso, ma di un importante lavoro di analisi e progettazione, all’epoca forse non del tutto consapevole. La letteratura, la musica, il cinema, l’esperienza del viaggio e della poesia, l’ironia, il “dare voce a chi non l’ha avuta mai” ne sono stati gli strumenti, mettendo in scena sensibilità, opinioni, punti di vista. Al produrre teoria politica si è preferito il produrre comportamenti e linguaggi nuovi: alla classe operaia non si parlava di salario o capitale, ma di tempo sottratto alla vita, di un’idea del vivere non più come fatica, sacrificio, lavoro ma come esperienza di piacere e leggerezza, di scoperte che non regala la politica ma la vita. Nelle parole di uno dei fondatori, Radio Alice è stata “un’esperienza avviata senza alcuna organizzazione né specificità, ma che nel farsi sviluppò delle pratiche comunicative così interessanti da diventare patrimonio comune”.
Silvia Boverini
Fonti:
G. Vitali (“Ambrogio”), “Radio Alice: le vere armi sono la parola, la musica e la poesia”, http://domani.arcoiris.tv; M. Smargiassi, “Il social network prima dei social network. I quarant’anni di Radio Alice”, https://bologna.repubblica.it; www.radioalice.org; A. Rossi, “Radio Alice. Quando i new media correvano nell’etere”, www.artribune.com; V. Minnella, “Un mito di stamattina. A 40 anni dalla prima trasmissione, perché vi interessa ancora #RadioAlice?”, www.wumingfoundation.com; www.it.wikipedia.org
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