7 agosto 1947: si conclude la spedizione dell’imbarcazione Kon-Tiki
Il nostro pianeta è più grande dei fasci di giunchi che ci hanno portato attraverso i mari, eppure abbastanza piccolo per correre gli stessi rischi, a meno che quelli di noi che sono ancora vivi aprano gli occhi al disperato bisogno di una collaborazione intelligente se vogliamo salvare noi stessi e la nostra comune civiltà da quella che stiamo trasformando in una nave che affonda.
Così scriveva nel 1978 Thor Heyerdahl, norvegese per nascita e cittadino del mondo (Larvik 1914 – Colla Micheri [Savona] 2002), studioso appassionato, esploratore, ambientalista, divulgatore, artista e uomo di pace: costretto, a causa dei conflitti che infiammavano la regione, a interrompere la spedizione che avrebbe dovuto condurlo dall’Iraq a Gibuti a bordo dell’imbarcazione in giunco Tigris, indirizzò una lettera, firmata da tutto l’equipaggio, all’allora Segretario Generale dell’ONU Kurt Waldheim, protestando contro la guerra e la vendita di armi ai paesi in via di sviluppo da parte degli stati occidentali.
Il 7 agosto si ricorda la conclusione del viaggio della zattera a vela Kon-Tiki, l’impresa di Heyerdahl più famosa (1947), che, sebbene terminata in un naufragio, avvalorò – almeno in linea teorica – la sua ipotesi circa una prima colonizzazione della Polinesia, in epoca precolombiana, ad opera dei popoli sudamericani.
Soggiornando nelle Isole Marchesi, l’esploratore aveva posto in relazione una serie di elementi, tra i quali un graffito rappresentante un’imbarcazione a remi assai differente dalle tipiche piroghe locali, una leggenda riferita dai cantastorie circa un dio Sole – Tiki – venerato da uomini bianchi venuti da oriente, la presenza di correnti oceaniche da est, l’utilizzo – con lo stesso nome – della patata dolce in entrambi i continenti: Heyerdahl, isolato dal resto del mondo scientifico, decise di dimostrare in prima persona che un’ancestrale migrazione dal Sudamerica potesse essere giunta in Polinesia, con le sole risorse disponibili in quell’epoca lontana.
Prestigiose istituzioni culturali, compreso il National Geographic, negarono supporto e finanziamenti, nell’idea che l’impresa fosse “un suicidio collettivo”, ma la notorietà di Heyerdahl consentì comunque di organizzare la spedizione.
In Perù furono reperiti i materiali necessari e la costruzione del Kon-Tiki fu basata sulla tecnica indigena del luogo, impiegando il legno di balsa utilizzato in epoca precolombiana e facendo riferimento alle informazioni rinvenute nelle cronache dei colonizzatori spagnoli. Uniche concessioni alla modernità, le razioni alimentari fornite dall’esercito statunitense e un’emittente radio amatoriale per le comunicazioni.
Il viaggio iniziò il 28 aprile 1947 da Callao (Perù); la zattera fu trainata in mare aperto da un rimorchiatore della Marina Militare peruviana, per consentirle di sfruttare la Corrente di Humboldt per la navigazione. Heyerdahl e i cinque compagni di viaggio navigarono per 101 giorni attraverso l’Oceano Pacifico.
Il 7 agosto il Kon-Tiki fu scagliato dal mare sulle scogliere coralline di un isolotto disabitato dell’atollo di Raroia, nell’arcipelago delle Tuamotu, subendo notevoli danni; era stata percorsa una distanza di circa 3770 miglia nautiche (circa 4300 effettivamente navigate), con una velocità media di circa 1,8 nodi. Dopo diversi giorni in solitudine, l’equipaggio, sostanzialmente illeso, fu raggiunto e posto in salvo da abitanti delle isole vicine.
L’impresa è narrata dallo stesso Heyerdahl nel libro Kon-Tiki (1948), tradotto in oltre 70 lingue con decine di milioni di copie vendute, e in un film premiato con l’Academy Award come miglior documentario (1951). L’umanità immensa di Thor Heyerdahl non poté mai essere ristretta nei confini angusti di una definizione univoca: scopritore entusiasta, non volle mai divenire accademico universitario, nonostante le innumerevoli lauree ad honorem; amico personale di Gorbaciov e Fidel Castro, frequentò indistintamente capi di stato, marinai, pescatori e contadini; ecologista ante litteram, sollevò la questione dell’inquinamento degli oceani avanti alla prima Conferenza sull’ambiente dell’ONU (1972), che istituì il divieto di scarico di oli usati in mare; amava senza pregiudizio gli esseri umani e la natura, mantenendo una visione d’insieme sulle cose, tanto rara in un’epoca di ossessione per la specializzazione del sapere.
La vita, i libri e tutte le imprese di Heyerdahl costituiscono il manifesto delle sue convinzioni più salde: tutti gli esseri umani sono uguali, affrontiamo tutti le stesse sfide, possiamo lavorare e vivere insieme a prescindere dalle differenze etniche, politiche o religiose.
Membro attivo del World Federalist Movement, lavorò per la pace, la cooperazione oltre le frontiere, e la legalità; fu impegnato nell’organizzazione internazionale United World Colleges, fondata durante la Guerra Fredda per garantire opportunità di conoscenza e confronto a giovani studenti provenienti dai contesti più diversi. Con gli equipaggi cosmopoliti delle sue spedizioni cercò di dimostrare che si può lavorare bene insieme nonostante le differenze culturali, e che l’oceano, fin dalla preistoria, non può che essere aperto, luogo vivo e pulsante di passaggi, incontri e scambi tra popoli.
Silvia Boverini
Fonti:
Thor Heyerdahl, “Kon-Tiki. 4000 miglia su una zattera attraverso l’oceano”, ed. Giunti Martello 1975;
Gabriella De Fina, “L’uomo del Kon-Tiki. Una zattera nell’oceano Pacifico”, www.latitudeslife.com;
Gianluca Rocca, “Il Kon-Tiki”, www.nauticareport.it;
“Thor Heyerdahl”, www.kon-tiki.com.
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