1916, si conclude la battaglia di Verdun
Il 19 dicembre 1916 si concluse in territorio francese una delle più violente e sanguinose battaglie di tutto il fronte occidentale della prima guerra mondiale, la battaglia di Verdun, nome in codice “Operazione Giorno del Giudizio” (Gericht), che vide opporsi gli eserciti di Francia e Germania.
Verdun è il simbolo della prima guerra mondiale, la prima guerra di massa della storia, la prima guerra con la morte di massa della storia: dieci mesi di scontri, un numero di caduti stimato in 420.000 – un morto al minuto, notte e giorno, per tutta la durata dell’operazione – 800.000 intossicati da gas tossici o feriti, interi paesi rasi al suolo, boschi e colline bruciati e cancellati in un paesaggio lunare di crateri scavati da mesi di bombardamenti, fra labirinti di trincee e selve di reticolati, e nessun risultato apprezzabile sotto il profilo strategico e militare. Nessuno dei due schieramenti in lotta “vinse” a Verdun. Fu una battaglia
non decisiva in una guerra non decisiva, una battaglia inutile in una guerra inutile.
Fu lo scontro più lungo della Grande Guerra e forse della storia, una successione di offensive senza vincitore, che non aveva “niente di simile a una battaglia vera e propria”, perché “lo stesso gioco può ripetersi senza limiti”, come scrisse un analista militare francese nell’aprile del 1916, pensando che
non sarà mai possibile mettere la parola fine alla battaglia di Verdun.
Per trecento giorni furono usate tutte le armi più moderne e micidiali. I soldati di entrambi gli schieramenti combatterono in condizioni terribili, tra feriti senza cure che agonizzavano, portaordini che non tornavano, soccorsi e razioni che non arrivavano e cadaveri seppelliti e disseppelliti dall’incessante bombardamento dell’artiglieria. Fu appunto il rombo continuo dell’artiglieria a caratterizzare la battaglia sul fronte di Verdun per quasi un anno, instaurando nei combattenti una specie di “perdita di volontà”, un’insensibilità alla sofferenza e alla morte, che se da una parte corrose gli animi, dall’altra permise di sopportare indicibili sofferenze. Finita la guerra, gli scampati di Verdun avrebbero condiviso, con il sollievo del ritorno a casa, il senso di colpa proprio di chi ha subito il male prima ancora di compierlo:
Quando torneremo, toccherà a noi raccontare la storia della guerra, e saremo dalla parte del torto.
Verdun è una cittadina-roccaforte a duecento chilometri da Parigi: la conquista della città avrebbe spalancato ai tedeschi le porte di ingresso alla capitale. Nel 1916 era considerata inattaccabile dai comandi francesi: da ogni lato era circondata da ripide colline lambite dalla Mosa, presidiate da numerosi forti, e munita di una serie di profonde trincee protettive, lunghe dai 4 ai 5 chilometri, da quando, nella precedente guerra franco-prussiana del 1870, era divenuta il nodo principale di una lunga linea fortificata, il sistema Séré de Rivières.
Dopo l’offensiva tedesca da nord che culminò nella carneficina della battaglia della Marna (settembre 1914), il fronte si era stabilizzato in una guerra di logoramento: 800 chilometri di trincee e filo spinato, dal canale della Manica alla Svizzera, segnavano la linea su cui i due eserciti si sarebbero confrontati negli anni successivi. A rompere la staticità del fronte provarono dapprima i francesi, nella zona della Champagne, e poi i tedeschi, che scelsero proprio Verdun, cerniera strategica della difesa francese e importante nodo ferroviario, come obiettivo per quello che avrebbe dovuto essere l’assalto finale e risolutivo alla Francia.
Nei piani del capo di stato maggiore generale tedesco von Falkenhayn lo scopo dell’offensiva fu quello di attirare il maggior numero di truppe nemiche attorno al caposaldo di Verdun, ritenuto di primaria importanza per la Francia, per poi colpirlo con la massima potenza con il violento impiego di artiglieria, in modo da infliggere il maggior numero di perdite possibile. Il memorandum di von Falkenhayn è divenuto storia militare: mai attraverso i secoli un grande comandante o stratega aveva proposto di vincere un nemico facendolo “dissanguare goccia a goccia”.
Ai tedeschi era infatti noto che la strategia militare francese era incentrata sulla “teoria dell’attacco ad oltranza”, in base alla quale “se il nemico osava prendere l’iniziativa anche per un solo istante, ogni pollice di terreno doveva essere difeso fino alla morte e, se perduto, riconquistato con un contrattacco immediato anche se inopportuno”. Era inoltre noto che il caposaldo di Verdun, nonostante la sua importanza strategica, era stato sguarnito di uomini e armi, inviati su altri fronti: conseguentemente, ai soldati francesi non fu possibile eseguire il completamento del sistema trincerato a difesa del settore che, al momento dell’attacco tedesco, era privo di trincee di collegamento, reticolati e collegamenti telefonici sotterranei.
Tutta la lunga battaglia fu combattuta all’aperto, in piena terra di nessuno, senza alcun tipo di riparo o caposaldo, contendendosi letteralmente semplici metri quadrati di un territorio annichilito e trasformato in un paesaggio infernale dove neanche i tronchi d’albero erano stati risparmiati dai bombardamenti. Le trincee francesi, i cui resti sono ancora visibili ai nostri giorni, furono scavate dopo la fine della battaglia e in previsione di una reiterata ripresa delle ostilità.
Il primo dei grandi forti, Douaumont, cadde appena quattro giorni dopo il 21 febbraio, giorno d’inizio dell’offensiva. Le redini dell’Armée furono prese dal Generale Philippe Pétain, il quale optò per il rafforzamento dello schieramento francese tramite il passaggio dall’unica via di comunicazione con Verdun, la “Voie Sacrée” battuta senza sosta dal fuoco nemico, arrestando momentaneamente lo sfondamento tedesco. Iniziò il lungo attrito tra gli eserciti, che arrivarono non di rado all’attacco all’arma bianca o addirittura a mani nude; i tedeschi introdussero per la prima volta l’impiego del lanciafiamme. Quando i tedeschi si risolsero a tentare l’ultima grande offensiva verso Verdun, gli inglesi, alleati della Francia, iniziarono la sanguinosa battaglia della Somme, che richiamò in loco le truppe germaniche: l’impeto dell’offensiva su Verdun si arrestò con i tedeschi già in vista delle torri della sua cattedrale.
Ci vollero altri 100.000 morti francesi per la riconquista dei forti occupati fino al 19 dicembre 1916, quando la battaglia si esaurì senza nessun vincitore. Ciò che i tedeschi avevano conquistato non era altro che un’estensione di territorio un po’ più larga dei parchi reali di Londra. Verdun lasciò un segno incancellabile anche nell’esercito del Kaiser, la fiducia nei capi fu scossa alle fondamenta, il morale non si ristabilì mai del tutto e anche in patria si manifestò un’evidente stanchezza nei confronti della guerra.
L’enorme quantità di armi utilizzate, granate, gas velenosi, proiettili di artiglieria ad alto tasso esplosivo, cambiarono per sempre il territorio di Verdun. Alla fine della guerra, nel 1918, nell’impossibilità di bonificare totalmente la zona tutti i villaggi agricoli che costellavano l’area furono spostati altrove e oggi rimangono abbandonati. Alcune aree appaiono come una foresta incontaminata, ma al loro interno si nascondono tuttora milioni di munizioni, sia esplose sia inesplose; vengono ancora ritrovati armi, caschi e frammenti di scheletri, ma ciò che rende l’area ancora inabitabile per gli uomini è l’inquinamento provocato dalle armi chimiche, dal piombo e dalla decomposizione di uomini e animali.
Nei pressi dell’omonimo forte, nel 1920 fu eretto l’ossario di Douaumont, una sorta di necropoli della prima guerra mondiale, monumento commemorativo degli orrori di quella battaglia, che ospita i resti di circa 130.000 soldati non identificati. Nel 1984, per il suo carattere simbolico e solenne, fu scelto proprio questo luogo per celebrare ufficialmente la riconciliazione franco-tedesca, con una visita congiunta al grande cimitero militare da parte del presidente francese Mitterrand e del cancelliere tedesco Kohl.
Silvia Boverini
Fonti:
www.it.wikipedia.org; www.raistoria.rai.it; E. Frittoli, “21 febbraio 1916. Inizia l’incubo di Verdun”, www.panorama.it; www.lagrandeguerra.net; A. Lo Monaco, “La Zona Rossa di Verdun: Off-Limits e Venefica ad Un Secolo dalla Battaglia”, www.vanillamagazine.it; E. Gentile, “Verdun, la battaglia infinita”, www.ilsole24ore.com
Ci furono soldati italiani mandati a combattere a Verduno?
Gent.ma Paola,
In effetti la battaglia di Verdun non coinvolse le forze armate italiane, trattandosi di un altro fronte di quella guerra, cioè il fronte franco-tedesc; mentre i soldati italiani e austriaci si combattevano lungo il confine Nord orientale del nostro Regno. Tuttavia, una storia interessante su di un italiano, Lazzaro Ponticelli, piacentino, che, emigrato in Francia, prima dell’inizio del conflitto, prese parte alla saguinosissima battaglia di Verdun, una delle più terribili della Prima Guerra Mondiale, e sopravvisse, arrivando all’età di 110 anni, è leggibile sul sito dell’Assemblea regionale dell’Emilia Romagna: https://www.assemblea.emr.it/emilianoromagnolinelmondo/la-consulta/storia-emigrazione/casa-della-memoria-dellemigrazione/sezioni/il-salotto/storie%20di%20emigrazione/francia/lazzaro-ponticelli-lultimo-soldato-francese-della-grande-guerra.
Buona serata
Alberto Quattrocolo