Il 16.11.1977 Carlo Casalegno viene ucciso dalle Brigate Rosse
Ancora non avevano sparato per uccidere un giornalista. Inizialmente in effetti, nemmeno in quest’occasione avrebbero avuto intenti omicidi: pensavano di limitarsi a gambizzarlo, ma poi qualcosa cambiò. In peggio. Invece di mirare in basso, infatti, Fiore sparò dritto in faccia all’allora vicedirettore de La Stampa, dopo averlo chiamato per farlo voltare. 4 colpi che gli devastarono il viso e gli lasciarono solamente 13 giorni di terapia intensiva alle Molinette: morì il 29 novembre, dopo che un transitorio miglioramento aveva riacceso la speranza nelle persone a lui vicine.
Scrisse articoli troppo ostili alla lotta armata che le Brigate Rosse, di contro, sostenevano e attuavano. Di più, invitò i cittadini a non sottrarsi alla chiamata per la giuria popolare nel primo procedimento alle stesse BR: ognuno doveva fare la propria parte. Casalegno tenne salda la mano sulla sua penna, e questo gli costò caro.
L’aver espresso il proprio pensiero gli costò la vita, come se non avesse vissuto in uno stato democratico. Forse però, la democrazia iniziò a farsi strada anche all’interno di quei movimenti che lo avevano ucciso: il figlio Andrea, già membro di Lotta Continua e dei movimenti del ’68, espresse idee molto chiare in merito:
Non si può uccidere una persona per le sue idee.
Anche perché non si distrugge un simbolo, ma:
Persone in carne ed ossa, padri e mariti.
Fu probabilmente questo uno degli elementi che contribuirono alla radicale modifica a cui andarono incontro i movimenti stessi.
Alessio Gaggero
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