22 ottobre 1975, Leonard Matlovich viene congedato dalla U.S. Air Force in quanto omosessuale
Quando ero nell’esercito, mi hanno dato una medaglia per aver ammazzato due uomini e mi hanno cacciato per averne amato uno.
(L. Matlovich)
Il 22 ottobre 1975, il reduce del Vietnam e istruttore militare Leonard Matlovich viene posto forzatamente in congedo dall’U.S. Air Force (USAF): non ha commesso reati né atti censurabili secondo il codice militare, ma, poco prima, aveva accettato di comparire sulla copertina della rivista Time con la scritta “I am a Homosexual”, divenendo il primo soldato americano a compiere un esplicito coming out.
Matlovich nasce nel 1943 da una famiglia del sud degli Stati Uniti, che gli impartisce un’educazione rigida e molto religiosa; a 19 anni si arruola nell’USAF, seguendo le orme paterne, e in Vietnam compie diverse azioni eroiche, che gli valgono la Bronze Star Medal per aver ucciso due vietcong, la Air Force Commendation Medal e il Purple Heart per essere stato ferito da una mina. Rientrato in patria, inizia un periodo di stazionamento in Florida, dove diviene istruttore; è proprio qui che, già quasi trentenne, incomincia a prendere coscienza del proprio orientamento sessuale ma, coerentemente al codice di comportamento non scritto delle forze armate e all’educazione conservatrice ricevuta in famiglia, mantiene il massimo riserbo in proposito.
All’interno dell’aviazione militare, in quel periodo, è all’ordine del giorno la questione delle discriminazioni razziali: sensibile all’argomento, nel 1971 Matlovich si offre volontario come istruttore nelle Air Force Race Relations Classes, create dai vertici amministrativi dell’USAF, a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, proprio per risolvere il problema della conflittualità tra commilitoni di provenienza diversa. Per il proprio incarico Leonard attraversa gli Stati Uniti, rendendosi conto che le discriminazioni nei confronti degli omosessuali sono feroci quanto quelle verso gli afroamericani.
Nel marzo del 1974 incontra Frank Kameny, uno dei più grandi attivisti per i diritti civili gay in America, presidente della Mattachine Society, che sta cercando un “caso” per testare la forza della messa al bando dell’omosessualità nel contesto militare statunitense.
Il 6 marzo del 1975, Matlovich recapita, presso l’ufficio dell’Air Force Base di Langley, in Virginia, una lettera con la quale dichiara al Dipartimento delle forze armate degli Stati Uniti d’America la propria omosessualità; all’ufficiale che gli chiede spiegazioni, risponde: “Significa Brown contro l’Ufficio Scolastico”, facendo riferimento alla sentenza della Corte suprema che nel 1954 dichiarò incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole pubbliche.
Non è che un inizio. Quando l’8 ottobre il Time pubblica quel numero con la copertina raffigurante Leonard Matlovich in divisa militare con la scritta: “Io sono un omosessuale”, diventa un simbolo del movimento gay, ma deve affrontare la dura reazione dell’alto comando dell’USAF e lo choc dei genitori; persino la chiesa mormone, a cui si è avvicinato negli ultimi anni, avvia una procedura di scomunica nei suoi confronti.
Successivamente alla pubblicazione della copertina del Time, l’alto comando pone Matlovich davanti a una scelta: l’Aviazione potrebbe chiudere un occhio, classificando il suo comportamento come “non gravemente sconveniente” e concedendogli di restare nelle forze armate, a condizione che egli giuri e sottoscriva di “non praticare mai più l’omosessualità”. Leonard rifiuta e, nonostante gli anni di servizio impeccabili, le medaglie al valore e le onorificenze, il 22 ottobre viene cacciato dall’USAF in quanto omosessuale.
Denuncia quanto accaduto presso il Tribunale militare, facendo causa per il reintegro nell’Air Force; il processo dura fino al settembre del 1980, quando il dipartimento dell’USAF, a fronte di un’espressa richiesta del giudice Gerhard Gesell, non riesce a presentare un valido motivo a fondamento dell’esclusione dell’istruttore. Il giudice riconosce che l’Aviazione ha agito in base a un insieme di pregiudizi personali dello Stato Maggiore e non applicando una precisa norma giuridica, ordinando quindi che Matlovich sia riassunto, promosso di grado e riceva tutti gli stipendi arretrati; tuttavia, temendo future ritorsioni sul luogo di lavoro ed eventuali ulteriori ricorsi, egli decide di accettare una transazione economica di 160mila dollari per rinunciare a rientrare in servizio, ottenendo comunque un congedo definitivo “con onore”.
Intorno al suo caso vennero pubblicati articoli su giornali e riviste in tutto il paese, interviste televisive e un film televisivo sulla NBC. Immediatamente dopo l’USAF ribadì espressamente la legittimità della propria prassi di allontanare ogni militare omosessuale, uomo o donna, anche se nascosto; nel 1993 sarà varata in tutte le forze armate USA la politica del “Don’t ask, don’t tell” (“non chiedere, non dire”), che vieterà tanto le indagini sull’orientamento sessuale quanto il coming out dei militari gay.
A partire dagli anni Ottanta, Matlovich collabora in numerose iniziative mirate al riconoscimento dei diritti civili e contribuisce alla costituzione della “Never Forget Foundation”, allo scopo di erigere monumenti ai leader gay del passato.
All’inizio del 1987 annuncia al programma televisivo Good Morning America di essere ammalato di AIDS e nel giugno di quell’anno lo arrestano con altri attivisti, di fronte alla Casa Bianca, mentre protesta contro le insufficienti misure sanitarie prese dall’allora presidente Ronald Reagan per combattere il virus; partecipa alle manifestazioni del movimento fino a poche settimane prima di morire. Tiene il suo ultimo discorso pubblico il 7 maggio 1988, davanti al Campidoglio di Sacramento, dove ha sede il governo dello Stato della California, nel corso di una manifestazione per i diritti civili, pronunciandosi contro l’indifferenza, le prevaricazioni e l’odio nei confronti degli omosessuali.
Muore, a causa di complicazioni dovute all’HIV, il 22 giugno 1988. Per sua espressa volontà, sulla tomba non compare il suo nome, in quanto essa vuole rappresentare un monumento dedicato a tutti i soldati omosessuali o, più in generale, LGBT; nella lapide si legge la scritta, da lui redatta, riportata nell’apertura di questo articolo. Sceglie di essere seppellito nel cimitero del Congresso di Washington anziché in quello di Arlington, tradizionalmente destinato ai militari; le sue spoglie riposano nella stessa fila in cui è sepolto John Edgar Hoover, onnipotente direttore dell’FBI dal 1924 al 1972, persecutore zelante di attivisti di ogni genere, militanti per i diritti civili, “sovversivi, traditori e comunisti”.
Arriverà un giorno in cui sarà possibile servire il proprio paese e amare una persona del tuo stesso sesso, ne sono sicuro. Fino a quel giorno andrò avanti, a testa bassa, manifestando, sostenendo amici e sconosciuti nella loro battaglia per i diritti di uomini e donne, omosessuali e lesbiche, e anche per i diritti a cure mediche e farmaci che ci vengono preclusi. So che un giorno l’AIDS mi scaverà una fossa, ma fino all’ultimo combatterò. Dopotutto sono e sarò sempre un soldato.
Silvia Boverini
Fonti:
www.wikipedia.org;
A. Boccia, “Leonard Matlovich, il soldato che combatté per i diritti degli omosessuali”, www.flyorbitnews.com;
www.soultrotters.it;
M. Consoli, “Leonard Matlovich”, www.culturagay.it;
L. Rothman, “How a Closeted Air Force Sergeant Became the Face of Gay Rights”, www.time.com;
www.trevenezie.it;
www.leonardmatlovich.com
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