1980, la Primavera Amazigh (berbera)
Il 20 aprile 1980 a Tizi Ouzou scoppia l’insurrezione generale che dilagherà in tutta la regione montagnosa di Cabilia, lungo la costa settentrionale dell’Algeria, da tempo cuore delle rivendicazioni della minoranza berbera algerina, parte di una comunità più ampia presente in tutto il Nord Africa e che conterebbe tra i 15 e i 20 milioni di persone. Una lotta politica e identitaria che parte dalla lingua per lambire le condizioni socio-economiche delle comunità coinvolte, spesso marginalizzate dalle politiche dei governi centrali.
Manifestazioni e scontri coinvolgono anche la città di Algeri per alcune settimane: questa catena di eventi sarà battezzata la Primavera berbera, o, più precisamente, la Primavera Amazigh.
I berberi non amano essere chiamati con questo nome, probabilmente derivato dal latino “barbarus” e dato, con accezione spregiativa, a questa popolazione in eterna ribellione dai vari colonizzatori (Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Arabi…); preferiscono chiamarsi con il termine autoctono Imazighen, “uomini liberi”. Essi sono gli abitanti originari del Nord Africa e si distribuiscono su un territorio molto vasto dell’Africa mediterranea comprendente Egitto (oasi di Siwa), Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso (Tuareg); probabilmente anche i Guanci, antichi abitanti delle Isole Canarie, parlavano il berbero.
In considerazione della vastità del territorio nordafricano, esistono numerose varietà dialettali della lingua berbera (tamazight), la cui acquisizione e trasmissione è fortemente legata alle donne: la letteratura orale, in gran parte femminile, costituisce un patrimonio culturale specifico delle comunità berbere, una memoria collettiva che supera i circuiti della conoscenza codificata, attingendo alla magia, al meraviglioso, al soprannaturale, ambiti in cui le donne sfuggono ai ruoli tradizionali.
L’oralità ha svolto e svolge ancora, presso i giovani, un ruolo di vera formazione in settori diversi come le attività quotidiane, l’ambiente, gli usi e le abitudini sociali, salvaguardando la lingua e le culture berbere dal processo di arabizzazione imposto dai governi. Le nuove dimensioni dell’oralità, rappresentate dai mass media e dai social networks, in particolare, Internet, le tivù e le radio locali nel Maghreb (Marocco e Algeria) che trasmettono in lingua berbera stanno svolgendo un ruolo molto importante per la diffusione della lingua e la conoscenza delle proprie radici culturali.
Gli Imazighen si sentono emarginati dalla cultura dominante dei paesi dove vivono e dalla superficialità con cui il resto del mondo, non solo l’Occidente, guarda agli avvenimenti che accadono sulle coste sud del Mediterraneo e nel mondo arabo. Fin dall’inizio, i diversi movimenti berberi, riconosciuti o meno, hanno partecipato alle rivolte popolari, giocando talvolta un ruolo fondamentale, nella speranza di un cambiamento radicale che aprisse finalmente l’orizzonte anche alla pluralità e alle diversità culturali e linguistiche.
Oggi è lontana l’epoca in cui si veniva arrestati perché trovati con un libro in lingua amazigh. L’origine amazigh del Nord Africa è riconosciuta dalle Costituzioni dei tre principali Paesi del Magreb: Marocco, Algeria e Tunisia; la lingua invece è riconosciuta come lingua nazionale e ammessa nelle scuole soltanto in Algeria e in Marocco, pur se rimane ancora molto da fare per un insegnamento di qualità, e nelle regioni Nord del Mali e del Niger. Esistono ormai movimenti per il riconoscimento della lingua e cultura amazigh in tutti i Paesi del Nord Africa: dalle Isole Canarie fino alle “oasi” amazighofone dell’Egitto occidentale. E tutti questi movimenti ogni anno festeggiano il 20 aprile come il giorno della presa di coscienza: “Tafsut n Imazighen”, la Primavera degli Amazigh.
Gli eventi di quella primavera esplodono in Algeria, dove, dal 1962, il fronte politico eterogeneo che aveva ottenuto l’indipendenza del paese aveva finito per essere monopolizzato dai socialisti panarabisti di Benbella e Boumedienne. Quest’ultimo, che era il vero uomo forte, dal ’65 aveva condotto il Paese per 14 anni con mano di ferro e un ambizioso progetto di sviluppo: industrializzazione, rivoluzione agraria, educazione gratuita (anche l’università), sanità gratuita, politiche di edilizia popolare sia rurale che urbana. Uno dei punti forti del suo progetto si basava innanzitutto sulla scuola; il regime algerino dei primi anni dell’indipendenza, come tutti i regimi della zona all’epoca, era affascinato dal nazionalismo arabo, ma aveva anche un problema: l’Algeria non sapeva l’arabo e la scuola algerina era ancora francofona. Bisognava arabizzare l’Algeria. Era un progetto di cancellazione vera e propria della storia e della cultura algerina, per imporre un modello standard inesistente. L’intellettuale comunista Kateb Yacine, che lottava per la valorizzazione dell’amazigh e dell’arabo algerino, disse:
Se l’Algeria non è araba, perché la volete arabizzare? Se è araba, spiegatemi perché bisogna arabizzarla?
All’inizio del 1980 Mouloud Mammeri pubblica a Parigi il libro “Poèmes kabyles anciens”, Poesia cabila antica. Mammeri è un raffinato scrittore algerino, docente universitario di storia e antropologia, cultore e promotore della lingua e cultura amazigh, capofila di una generazione di intellettuali e attivisti che faranno la storia delle lotte per la democrazia in Algeria. La sua pubblicazione non ha nulla di rivoluzionario, ma il libro non può essere edito in patria: ufficialmente la cultura amazigh non esiste e tutto quello che la spiega, raccoglie o sviluppa è tabù per l’editoria algerina dell’epoca.
Il testo però circola tra gli studenti, in originale o in copie fai-da-te, la curiosità cresce e il comitato studentesco della nuova università di Tizi Ouzou (Cabilia occidentale) organizza una conferenza di presentazione dell’opera, prevista per il 10 marzo. Ma il giorno stesso, l’amministrazione annuncia l’annullamento della conferenza e Mouloud Mammeri è fermato sulla strada fra Algeri e Tizi Ouzou e rimandato indietro dalla gendarmeria nazionale; i responsabili di questa decisione rifiutano di dare spiegazioni: sembra trattarsi di disposizioni dall’alto.
Gli studenti si raggruppano in assemblea spontanea e il giorno dopo cominciano gli scioperi, le manifestazioni e l’occupazione dell’università, dell’ospedale pubblico e della principale industria della regione, la fabbrica di elettrodomestici Sonelec. Il regime è preso alla sprovvista, sono le prime proteste popolari dal ‘62: non sa come reagire ma presto si organizza e la repressione è feroce.
Il 7 aprile, un’imponente manifestazione ad Algeri si conclude con un centinaio di arresti, numerosi feriti e forse anche un morto. Il 10 inizia uno sciopero generale in Cabilia, bollato da fonti filo-governative come “teleguidato dall’estero”. Una settimana dopo, il presidente Chadli Bendjedid dichiara che l’Algeria è un paese “arabo, musulmano, algerino” e che “democrazia non significa anarchia”; lo stesso giorno, gli scioperanti vengono sgomberati con la forza dall’ospedale di Tizi Ouzou e dai locali della Sonelec.
Il 20 aprile non è l’inizio ma il culmine della rivolta. Nella notte, le forze speciali violano lo spazio universitario e colgono gli studenti nel sonno con pestaggi, umiliazioni, arresti di massa e torture: è l’operazione Mizrana. Invece di calmare le acque, la repressione peggiora le cose: il giorno dopo, tutta la Cabilia è in piedi. Ovunque la popolazione occupa le istituzioni e blocca le strade, in un sollevamento generale che durerà settimane. Il bilancio della repressione è grave: circa 120 morti e migliaia di feriti e vittime della tortura. Ma, dopo il braccio di ferro, il governo è costretto a liberare i prigionieri e a trattare: una prima breccia nel muro del regime.
Dalle proteste nasce il Mcb (Mouvement Culturel berbére), un’organizzazione democratica e orizzontale di agitazione sociale e culturale; per una decina di anni fino all’avvento del multipartitismo nel 1989, i militanti di questa organizzazione si troveranno all’avanguardia di tutte le lotte sindacali, universitarie, culturali, femministe, per il rispetto delle libertà individuali e collettive.
Politicamente, la Primavera Amazigh apre la via alla messa in discussione del regime algerino, prefigurando i moti di Costantina del 1986 e d’Algeri del 1988; sul piano culturale, rompe il tabù linguistico e culturale. Questa presa di coscienza identitaria ha via via toccato, con esiti più o meno incisivi, gli altri stati nordafricani.
Nel ‘95, in Francia, viene lanciata l’idea di una “internazionale berbera” e, due anni dopo, si celebra nelle Canarie il primo Congresso mondiale Amazigh, che adotta la propria bandiera, da allora sventolata in tutte le proteste, anche durante la “primavera araba”. I suoi colori rappresentano i differenti paesaggi in cui vivono le popolazioni berberofone: il blu è il colore del Mediterraneo e dell’oceano Atlantico, il verde quello dei boschi delle montagne e il giallo quello del deserto. La figura posta al centro del vessillo è un “aza”, la lettera zeta dell’alfabeto tifinagh, che nell’iconografia militante simboleggia l’amazigh stesso, ossia “l’uomo libero”, mentre il colore rosso evoca il legame di appartenenza alla terra che unisce le diverse comunità di Tamazgha.
Silvia Boverini
Fonti:
www.it.wikipedia.org; K. Metref, “Scor-data: Algeria 20 aprile 1980, Primavera berbera”, www.labottegadelbarbieri.org; L. Ardesi, “Berberi senza primavera”, www.nigrizia.it; “Algeria. Vittoria berbera: il tamazight sarà insegnato nelle scuole”, http://nena-news.it; V. Russo, “Lingue berbere: ne parliamo con Anna Maria Di Tolla”, http://magazine.unior.it
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